Petrini: il cibo rischia di mangiarci

Il guru di Slow Food domani a Chieti con il suo nuovo libro «Terra madre».

PESCARA. Si chiama «Terra madre» e il sottotitolo suggerisce: «Come non farci mangiare dal cibo». E’ il nuovo libro di Carlo Petrini edito da Giunti (192 pagine, 12 euro). Piemontese di Bra, 60 anni, il padre-fondatore e guru del movimento gastronomico-culturale Slow Food lo presenterà domani a Chieti (si legga il box in alto). Intanto, in questa intervista al Centro, racconta che cosa ci riserva il futuro. Non solo a tavola.

Petrini, perché il cibo rischia di mangiarci?
«E’ un paradosso solo in apparenza, se analizziamo l’attuale sistema alimentare».

Perché?
«Primo: la produzione intensiva del cibo significa che perdiamo la fertilità dei suoli e, con le grandi concentrazioni degli allevamenti animali, inquiniamo le falde acquifere. Secondo: rischiamo un disastro sul piano sociale perché questa spasmodica attenzione verso il prezzo del cibo sta rendendo difficile la vita a tutti i contadini nel nostro e di altri Paesi. Attenti, dico io: non mangeremo mica computer. Terzo elemento: lo spreco. Le 4 mila tonnellate di cibo buttate ogni giorno sono una cosa che non sta né in cielo né in terra».

Che cos’è questa alleanza che lei propone tra chi il cibo lo produce e chi se lo mette nella pancia?
«Siccome il comparto della produzione del cibo ha perso capacità contrattuale e politica nei Paesi sviluppati, nessuno fa più attenzione a questa parte minoritaria del sistema. Invece, se diventiamo coscienti del fatto che i consumatori possono diventare co-produttori, le cose cambiano perché i soggetti attivi operano delle scelte che incidono in maniera diretta sull’economia».

Lei propone che le comunità locali abbiano diritto a una loro sovranità alimentare: che significa?
«Vuol dire, per esempio, che nella mia comunità scelgo io che cosa allevare, coltivare e, quindi, mangiare».

Il cibo è il nuovo petrolio dell’economia globale?
«E’ così, ma non da oggi. Tutte le grandi scelte di economia politica si sono sempre misurate attraverso il governo, non delle menti, ma delle pance. Le guerre si fanno per avere più campi da coltivare. Il cibo, che è energia vitale, sta diventando sempre di più una commodity, una merce. Quindi, da un lato perde valore e dall’altro implementa lo spreco. Un nuovo paradigma, dunque, deve per forza restituire valore al cibo. Quindi, la mia risposta è, sì, il cibo è il nuovo petrolio e adesso lo sta diventando sempre di più e in forme anche violente».

Perché?
«Più di 123 milioni di ettari di terreno in Africa sono stati già comprati dall’Arabia Saudita, dalla Cina, dall’India e dalle grandi multinazionali per produrre cibo o biocarburanti. Questo mette i contadini in una condizione di spoliazione totale. Ci sono già un milione di cinesi che lavorano queste terre. La prospettiva è che questo numero cresca fino a 5 milioni. Se il cibo non fosse il nuovo petrolio perché si farebbero investimenti di questa entità?».

La accusano spesso di essere un reazionario che guarda alle piccole patrie gastronomico-culturali, senza capire che il futuro, magari, è negli Ogm: lei che dice?
«Rispondo che questo è uno dei grandissimi nodi della politica dei prossimi anni. Prima o poi, anche il nostro ceto politico lo capirà. La nostra impostazione è di estrema modernità. L’innovazione è nient’altro che una tradizione ben riuscita. Chi non ha memoria e non tiene conto del patrimonio forte dei nostri padri non può guardare al futuro».

Che cosa ama di più del mangiare abruzzese?
«L’Abruzzo è una terra così straordinariamente ricca di belle cose: lega benissimo il mare con l’entroterra e la sua cultura della transumanza. A me piace di più questo secondo aspetto, quello dell’entroterra, con i suoi salumi, i suoi formaggi».

Veniamo a cose più terra terra: che cosa odia di più nelle abitudini alimentari degli italiani di oggi?
«Lo spreco».

Se potesse recupare una sola cosa dell’alimentazione nazionale di 50 anni fa quale sarebbe?
«I pesci del Po».

Sul pesce lei beve vino rosso, bianco o rosato?
«Bevo di tutto. Ai matrimoni d’amore portati fino alla sublimazione non ci credo. Amo un po’ di anarchia, mi dà piacere».

Pane integrale, normale o addirittura grissini?
«Pane buono con i lieviti madre e i processi di fermentazione lenti».

La birra quando?
«Quando ne ho voglia».

Su cosa?
«Non mi pongo il problema».

Non mi dica che mangia anche il sushi?
«Mi piace. Non ho rigetti gastronomici di alcun tipo».

Thè o caffè?
«Tutti e due».

Coca Cola?
«Poco, poco, poco. Sono di formazione-chinotto. Appartengo alla generazione che andava al bar a vedere “Lascia o raddoppia?” in tv e si beveva il suo chinotto».

Cosa ha mangiato a pranzo?
«Gnocchi e un po’ di verdura bollita condita con olio d’oliva della Liguria».

Fra dieci anni che cosa mangeremo?
«Spero più prodotti locali, più prodotti stagionali, più prodotti biologici».

Si mette mai a dieta?
«Mai, perché, tutto sommato, pratico una certa morigeratezza. Stamattina sono andato a misurarmi la circonferenza: è diminuita addirittura di 5 centimetri. E senza far niente».