Supercarcere, in duecento rifiutano il cibo

Continua la protesta dei detenuti contro il sovraffollamento

SULMONA. Resta alta la tensione nel carcere di Sulmona. Anche ieri i 200 detenuti della sezione «internati» hanno proseguito la protesta contro il sovraffollamento rifiutando il cibo. Lamentano una situazione invivibile da quando le celle, di 9 metri quadri e progettate per ospitare una sola persona, accoglie 3 letti. Contestano anche il fatto di non potere svolgere attività lavorativa, come previsto per la loro categoria: una volta scontata la pena, dovrebbero essere assegnati a un periodo di casa lavoro per un graduale reinserimento nella società. Ma solo pochi fortunati, sono impiegati in lavori all’interno del carcere. Gli altri trascorrono le loro giornate nelle celle, come tutti gli altri detenuti.

«Hanno aspettato che scappassero i buoi dalla stalla per dire cose che noi affermiamo da mesi», dichiara il segretario Uil penitenziari per l’Abruzzo, Mauro Nardella, riferendosi alla denuncia del responsabile dell’area sanitaria del carcere, Fabio Federico, che è anche sindaco della città, circa il sovraffollamento e la mancanza di lavoro per i detenuti. «Sezioni costruite per ospitare 25 detenuti non possono essere trasformate in bracci per accoglierne 75» aggiunge il sindacalista. «Gli agenti sono esausti. Il lavoro è triplicato e il personale continua a diminuire. Tra poco perderemo altri 25 ageni che torneranno a lavorare nel carcere di Avezzano.

E la situazione diventerà ancora più bollente con l’arrivo dell’estate quando il caldo amplificherà le condizioni di disagio all’interno delle celle». Problemi annosi che nessuno risolve e di cui si parla solo quando accadono fatti tragici come il suicidio di un detenuto o l’aggressione a un agente di polizia penitenziaria. Intanto, ieri pomeriggio si è svolta l’autopsia su Tammaro Amato il detenuto trovato senza vita giovedì scorso nella sua cella. L’esame ha confermato che il giovane, aveva solo 28 anni, è morto per asfissia. Entro 60 giorni sarà depositato l’esito degli esami tossicologici.

«Erano chiari i segni di strangolamento provocati dai lacci delle scarpe che il detenuto ha usato per togliersi la vita» ha detto il medico legale, Ildo Polidori, al termine dell’esame, «anche perché il detenuto non aveva sul corpo segni che potessero far pensare a un’eventuale aggressione». I genitori di Amato, che avrebbe finito di scontare la pena nel 2011, hanno voluto che un loro legale assistesse all’autospia. Fin dal primo momento i parenti avevano sostenuto come improbabile l’ipotesi del suicidio. «Aveva passato le feste natalizie a casa in piena allegria», hanno dichiarato, «e non aveva mai fatto pensare, neanche lontanamente, che potesse togliersi la vita, nemmeno quando ci ha lasciato per tornare in carcere». Al termine dell’autopsia la salma è stata riconsegnata ai familiari. Claudio Lattanzio