Ticket, pagano i cittadini più deboli

Critiche unanimi delle parti sociali. Chiavaroli (Pdl): infranto un tabù

PESCARA. Un balzello odioso e ingiusto, che aggrava la già difficile condizione dei contribuenti onesti che vivono di lavoro e pagano le tasse. E' pressoché unanime la protesta contro la decisione del governo nazionale che ha imposto alle Regioni di applicare il ticket.

Dieci euro per ogni prestazione specialistica, dalle visite al pronto soccorso agli accertamenti diagnostici ambulatoriali e di laboratorio. Tutti contro, dunque. A parte i distinguo espressi dal portavoce del Pdl, Riccardo Chiavaroli, che sui ticket sanitari parla di «tabù infranto». Al di là delle schermaglie, il quadro delle esenzioni (vedi tabella) sembra non convincere nessuno. In primo luogo, perché la soglia dei 36mila 151 euro, oltre la quale il pagamento scatta automaticamente, va letta come reddito complessivo lordo, quindi come la somma di tutti i redditi familiari al lordo degli oneri deducibili. Fanno eccezione i lavoratori autonomi, per i quali il reddito va calcolato al netto dei contributi previdenziali e assistenziali.

In secondo luogo, perché è chiara la percezione che a pagare saranno i soliti noti. «Una famiglia con due lavoratori dipendenti a reddito basso, quasi certamente dovrà farsi carico del ticket», avverte il segretario regionale della Cgil funzione pubblica, Carmine Ranieri. Ma costerà di più anche andare in farmacia dopo l'introduzione dell'obbligo della monoprescrizione (un farmaco per ogni ricetta), che prevede il pagamento di un euro per l'acquisto di un solo medicinale. C'è poi la specificità dell'Abruzzo, da poco uscito dal girone delle «regioni canaglia», con cittadini e imprese che continuano a sobbarcarsi oneri pesantissimi per ripianare i debiti della sanità. «Pur avendo raggiunto la parità di bilancio al prezzo di enormi tagli ai servizi e di tasse addizionali portate al massimo livello», commenta il segretario generale della Cisl, Maurizio Spina, «l'Abruzzo è chiamato a fare altri sacrifici. Tutto questo è ingiusto e soprattutto non necessario».

Accuse al governo ma anche al ruolo svolto dalla Regione arrivano dal consigliere regionale dell'Idv, Cesare D'Alessandro: «Come al solito, Chiodi è costretto a ubbidire suo malgrado, ma evita di trarre le necessarie conclusioni». Per D'Alessandro, l'esenzione sotto il tetto dei 36mila euro potrebbe sembrare a prima vista giusta, un sacrificio necessario ma ponderato sulle rispettive ricchezze e povertà. «Tutti, però, sappiamo che a pagarne il conto saranno soprattutto le famiglie che vivono di lavoro dipendente, quelle che non nascondono nulla al fisco». Contro anche la Uil Abruzzo, che chiede al presidente Chiodi di aprire subito il confronto con i sindacati per concordare un sistema di esenzioni e agevolazioni a favore delle fasce basse di lavoratori e pensionati. «Diciamo subito che non condividiamo soluzioni basate solo sulle dichiarazioni dei redditi», osserva il segretario Roberto Campo, «se fossimo in Svezia, andrebbe benissimo, ma in Italia, fino a che avremo queste montagne di evasione ed elusione, si premiano spesso proprio quelli che non fanno il loro dovere fiscale. Ecco perché chiediamo che si tenga conto della tipologia di reddito, e che le fasce basse dei redditi fissi di lavoratori e pensionati siano espressamente aiutate. Vogliamo riaffermare la progressività; non premiare gli evasori, ma stanarli».

Per il portavoce del partito di maggioranza appare invece semplicistica la discussione su ticket sanitari sì-ticket sanitari no.

«Il presidente Chiodi ha fatto benissimo a porre con forza la questione metodologica al governo nazionale e ad avanzare proposte alternative», commenta Chiavaroli, «ma ritengo che la questione ticket debba ruotare attorno ad alcune semplici osservazioni. Primo: è ancora possibile garantire un indistinto (e spesso inefficace) sistema sanitario genericamente gratuito per tutti? Penso proprio di no. Secondo: è giusto che i cittadini di un moderno stato liberale concorrano, ciascuno secondo le proprie possibilità, a sostenere i costi del sistema sociale e sanitario? La risposta è assolutamente sì».

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