Tragedia di Rigopiano, l’avvocato della Regione: «Con la strada pulita si sarebbero salvati tutti»

L’appello bis a Perugia. Il legale di parte civile se la prende con Provincia e Comune puntando il dito contro il mancato reperimento della turbina
PERUGIA . Ha parlato di «colposa sottovalutazione del rischio» puntando il dito contro Provincia e Comune di Farindola, ma lasciando fuori i sei imputati della protezione civile regionale. Ieri mattina a Perugia è ripreso con la discussione della parte civile della Regione, rappresentata dall’avvocato Nicola Pisani, il processo d’appello bis per i 29 morti di Rigopiano. E dopo la requisitoria che il procuratore Paolo Barlucchi ha sviluppato e concluso nelle due udienze della scorsa settimana, con le richieste di 3 anni e dieci mesi per i sei della Regione (Carlo Giovani, Carlo Visca, Emidio Primavera, Pierluigi Caputi, Sabatino Belmaggio e Vincenzo Antenucci); due anni e 8 mesi per l’ex sindaco Ilario Lacchetta e il tecnico del Comune Enrico Colangeli, e 3 anni e 4 mesi per Paolo D’Incecco e Paolo Di Blasio (ex dirigente ed ex responsabile del settore viabilità della Provincia), il processo nella aula degli Affreschi è ripartito alla presenza, come sempre, dei familiari delle vittime.
LA PROVINCIA
L’avvocato di parte civile della Regione è dalle presunte responsabilità dei due imputati della Provincia che è partito, rimarcando quanto già asserito dalla Cassazione. E cioé, dalla «condotta omissiva dei funzionari provinciali». In sostanza, ha ribadito l’avvocato Pisani, i funzionari della Provincia non hanno assicurato in anticipo la percorribilità del tratto di strada provinciale che porta all’hotel. E questo, nella misura in cui, pur sapendo che l’unica turbina Unimog a disposizione del tratto Mirri-Rigopiano era rotta dal 6 gennaio per un danno al cambio, non solo non l’hanno fatta riparare in vista del maltempo annunciato per i giorni successivi, non solo non si sono preoccupati di sostituirla quando il danno è apparso subito grave e di difficile soluzione (il mezzo è stato poi riconsegnato a dicembre del 2018), ma, come ha messo in rilievo la perizia, è emerso che non si erano neanche dotati, in precedenza, di una macchina di riserva da utilizzare in caso di avarìa del mezzo principale. Come si è poi verificato. Violazioni, queste, alle regole di «diligenza». Ma poi Pisani mette in rilievo anche «l’inerzia» di D’Incecco e Di Blasio a ridosso dell’evento: dal 16 gennaio era prevista un’allerta arancione e il pericolo valanga 3 sul bollettino Meteomont, ma neanche allora segue una ricognizione delle turbine eventualmente disponibili. E non ci si attiva neanche la mattina della tragedia, quando, di fronte al muro di neve che dal bivio Mirri isola l’hotel Rigopiano con le 40 persone al suo interno, neanche allora ci si mobilita pertrovare una turbina. Anzi, ricostruisce Pisani ricalcando quanto espresso anche dal procuratore durante la sua requisitoria, quando Di Blasio alle 8.58 del 18 gennaio, con l’albergo bloccato, chiede al superiore D’Incecco di rivolgersi all’Anas per reperire la turbina, si sente rispondere da quest’ultimo: «L’Anas va sopra e riapre, siamo praticamente espropriati in casa regolare! Perché a me, sinceramente potrebbe anche andare bene, purché si risolva il problema, per... diciamo potrebbe essere l’ultima spiaggia». È «la sottovalutazione del rischio», rimarca l’avvocato. Con la beffa che la turbina dell’Anas c’era, e stava a 17 chilometri da Rigopiano.
IL COMUNE DI FARINDOLA
Per sostenere il ruolo e le responsabilità dell’ex sindaco di Farindola Ilario Lacchetta e del tecnico comunale Enrico Colangeli, l’avvocato di parte civile della Regione ricorda i compiti del sindaco come autorità comunale, ribadendo quando affermato dalla Cassazione, secondo cui «non c’è dubbio che il Comune sia organo di protezione civile». Invece, nel caso di Rigopiano, è l’inerzia a prevalere. In questo caso un’inerzia lunga 11 anni, quanto il tempo in cui a Rigopiano non è stata più riunita la Commissione valanghe. Se si fosse riunita, sostiene Pisani, sarebbero emersi i rischi e dunque il sindaco avrebbe dovuto emanare l’ordinanza di sgombero dell’hotel. Ma ciononostante, al sindaco sarebbe bastato anche rivedere lo storico dei verbali della Commissione valanghe per rendersi conto del pericolo, e questo in relazione ai verbali delle riunioni del 1999 in cui emergeva che andava tenuto sotto controllo il piazzale di sosta di Rigopiano, in prossimità del bivio per Castelli. Con la commissione valanghe, si ribadisce, ci sarebbero stati sopralluoghi e rilevamenti anche il giorno prima della tragedia, potendo così prevedere l’evacuazione dell’hotel che fino alle 20 di quel giorno era rimasto raggiungibile. Sindaco e tecnico, sulla scorta delle conoscenze pregresse (c’era anche la carta storica che aveva individuato 4 valanghe a meno di 2 km dall’hotel Rigopiano), e sulla base dei bollettini meteo emessi dal dipartimento della protezione civile tra il 12 e il 18 gennaio e dei bollettini Meteomont, avrebbero dovuto emanare lo sgombero dell’hotel già dalla sera del 17 gennaio. E pure se l’amministrazione, come è stato verificato, non aveva ricevuto l’allerta relativa al pericolo valanghe, «si sarebbe dovuta aggiornare di sua iniziativa, rimarca l’avvocato citando la Cassazione. E questo anche in considerazione della consapevolezza del sindaco rispetto all’emergenza di quei giorni, tanto che il 15 gennaio chiude le scuole, scrive sul gruppo Whatsapp si sindaci e Provincia, «c’è oltre um metro di neve siamo completamente isolati e con due morti. Le previsioni per domani sono catastrofiche». Fino alle 17.07 del 17 gennaio quando, dopo aver assistito alla salita di alcuni ospiti dell’hotel, allerta alcuni abitanti di Farindola di uscire solo se strettamente necessario».

