I rimpianti di Franco Rosati: solo tre partite in Serie A e poca riconoscenza per Tom

Carriera densa di gioie per l’ex difensore del Pescara: «Ero un terzino di spinta, mi piaceva andare avanti e avevo un tiro forte che fruttava diversi gol; oggi mi rivedo in Di Lorenzo del Napoli»
PESCARA. Di Franco Rosati – oggi arzillo signore di 82 anni stabilitosi a Pescara - si ricorda il compianto fratello Tom, il doppio salto dalla serie D alla B con la maglia del Pescara negli anni Settanta; il gol decisivo a Latina, con i colori biancazzurri, per la promozione in B il 16 giugno 1974; il precedente a Chieti nella stagione 1963-1964; non abbastanza, però, il fatto che abbia giocato in serie A. Giocato e fatto gol in serie A con la maglia del Messina. Ha debuttato in A il 29 novembre 1964 ed è stata una "prima" particolarmente felice perché un suo gol ha regalato il successo ai siciliani, a Bergamo, contro l’Atalanta. «Un gol su punizione», ricorda Franco Rosati, «palla all’incrocio dei pali. Punizione di prima e botta forte. Niente da fare per Pizzaballa (il portiere diventato famoso perché la sua figurina Panini era pressoché introvabile, ndr)». Appena tre presenze in serie A, il cruccio che ancora oggi agita i suoi sonni.
«Ho giocato poco perché gli anziani comandavano e concedevano poco spazio ai giovani come me. Colomban, l’allenatore era inesperto, subiva le pressioni. Io andavo forte ed ero giovane. Con la De Martino (la seconda squadra, ndr) in quella stagione ho realizzato 25 reti. Tante su punizione. Ma in prima squadra nemmeno per sbaglio». Era un terzino di spinta, era il calcio dell’altro secolo. In pochi lo ricordano. E quindi serve un metro di paragone. Oggi Franco Rosati si rivede in Giovanni Di Lorenzo, il laterale del Napoli e della Nazionale, abile sia in marcatura che in fase di spinta. «Ma io attaccavo. Costringevo il mio dirimpettaio a venirmi dietro», racconta uno dei tanti Rosati che hanno popolato e popolano il calcio. La dinastia inizia a muoversi da San Benedetto del Tronto. Prima a Civitanova Marche e poi a Chieti.
«Papà era imbarcato, non c’era quasi mai. Noi siamo andati prima a Civitanova e poi in Abruzzo. Tom nella stagione 1958-59 si era spostato a Chieti. E noi lo abbiamo seguito. La mia famiglia», racconta Franco Rosati, «ha preso in gestione il bar del Supercinema, in città. Io giocavo a Chieti Scalo. E per 700mila lire sono stato ceduto alla Tevere Roma, la terza squadra della Capitale. Era il 1961. Ho fatto un anno a Roma e poi di nuovo a Chieti: scambio alla pari con Gasperini, solo omonimo dell’attuale allenatore giallorosso». In neroverde c’è il fratello Tom allenatore, è la stagione in cui il Chieti sfiora la promozione in serie B. Angelini e Di Cosmo al timone. «Ho giocato diverse volte nelle squadre di mio fratello allenatore. Nessun imbarazzo, nessun problema. Con Tom dovevi correre e giocare forte. Altro che fratello! Non guardava in faccia a nessuno».
Da Chieti a Messina, dalla serie C alla A. «È il 1964 e il club peloritano mi paga sette milioni di vecchie lire. Faccio l’esordio a novembre, a Bergamo, contro l’Atalanta. Debutto con gol, ma davanti a me c’era un muro chiamato senatori. Non c’era spazio per me». E da Messina eccolo a Salerno dove gioca sei anni. E si dimostra valido anche in zona offensiva segnando ben 16 gol in 182 partite. Rimane a Salerno fino al 1971 e, dopo una stagione al Trani, ha vissuto un altro bellissimo periodo a Pescara. Nel frattempo, nel 1965, si stabilisce a Pescara e sposa la signora Antonietta, teatina doc. «In maglia granata sono diventato presto un idolo (e capitano, ndr) vuoi perché abbiamo vinto un campionato (promozione in B nel 1966, ndr) vuoi perché 5-6 gol a stagione li facevo sempre grazie al mio tiro potente».
Franco e Tom. Quando Franco Rosati usa il plurale si riferisce all’accoppiata con il fratello Tom (all’anagrafe Domenico, scomparso nel 1985 all’età di 56 anni), poi diventato famoso alle cronache nazionali anche per lo schiaffo al’allora centravanti Vittorio Cozzella in mezzo al campo durante una partita di serie B. Un tandem che si ripete più volte. Anche a Pescara dove i biancazzurri passano dalla Quarta serie alla serie B. Era la stagione 1972-73, il Pescara, che da più di vent’anni viveva nel ricordo della mitica Strapaesana, si affida a Tom Rosati in panchina. Tanti derby, una cavalcata vincente capace di rianimare la piazza depressa. Un aneddoto: quell’anno il Pescara ha perso a Putignano, Tom Rosati durante il viaggio di ritorno ha fatto fermare il pullman e scendere i giocatori, costringendoli (per punizione) a fare diversi chilometri a piedi, mentre il pullman li aspettava più avanti. E, nella stagione successiva, nel 1974 a Latina il gol decisivo per vincere il campionato di serie C porta proprio la firma di Franco Rosati. Che poi, nel 1978, chiude la carriera a Lanciano conquistando la promozione in serie C con Feliciano Orazi allenatore.
«Seguo il calcio, mi piace. E’ stata ed è la mia vita. Nel calcio di oggi giocherei ad occhi chiusi, ma non in serie C. Ad alti livelli giocherei senza difficoltà». La lingua batte dove il dente duole e il discorso torna alla serie A. «Nel 1965 ero alla Salernitana e dovevo andare all’Inter di Herrera, ma non se ne fece nulla perché il presidente voleva soldi e i nerazzurri proponevano una contropartita tecnica. All’epoca non c’erano i procuratori. Nemmeno nei sogni dei calciatori. Eravamo delle bestie. Decidevano i presidenti. E se volevi giocare dovevi ubbidire». Serie A. «Nel 1967 ero ancora alla Salernitana e mi hanno mandato con il Napoli a fare un tour di amichevoli in Sudamerica. C’era Bruno Pesaola in panchina. Ma anche in quell’occasione non se ne fece nulla. Ma ho marcato Sivori, ho fatto battaglie con Giorgio Chinaglia. E che duelli con Bui del Catanzaro, il più forte di tutti nel gioco aereo. Non ho rimpianti se non quello della serie A e comunque ovunque ho lasciato un buon ricordo. D’altronde correvo, andavo su e giù lungo la fascia. Ero il prototipo del giocatore che si faceva benvolere dai propri tifosi».
Tanti Rosati tra fratelli e nipoti. «Una volta (primo ottobre 1972, ndr) c’era mio fratello Armando alla guida del Nardò, Tom sulla panchina del Pescara, io con la maglia biancazzurra e Marino, figlio di Armando, sempre con la casacca del Pescara. E Gianni, altro nipote, in tribuna. In quella partita Marino ha realizzato due gol alla squadra del padre. Quanti sfottò!». A distanza di tempo un’amara constatazione. «Non capisco il motivo per cui a distanza di anni non ci sia un ricordo vivo della memoria di mio fratello Tom qui a Pescara. Ha fatto la storia del club almeno quanto gli altri. Io non discuto le altre figure che vanno per la maggiore e non intendo fare paragoni. Sarebbero brutti e ingenerosi. Dico soltanto che Tom Rosati meriterebbe di essere ricordato meglio e di più». Il miglior allenatore che ha avuto? «Che domande! Tom è stato il più grande. Deciso, tenace, innovatore e intelligente. Era avanti di dieci anni. E non lo dice solo il sottoscritto che è il fratello». Un’ultima curiosità: perché la chiamano “Battellone”? «Non lo so, è un soprannome che mi diedero a Pescara. Forse perché ero grande fisicamente e in campo sembravo un battello...».
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