Tutto cominciò così, per una 'e'

Febbraio 1971, la notte dello Statuto. Tafferugli e lancio di monetine

Tutto per colpa di una «e». «L'Abruzzo è una Regione autonoma nell'unità politica della Repubblica italiana ed esercita i propri poteri e funzioni secondo i principi e nei limiti della Costituzione e secondo il presente Statuto. Capoluogo e sede degli organi della Regione è la città dell'Aquila. Il Consiglio e la Giunta regionali si riuniscono a L'Aquila o a Pescara...». Curvo sulla scrivania ben illuminata nella notte del febbraio 1971, il professor Emilio Mattucci prese un foglio di carta intestato e con queste parole cominciò il più breve e tristemente celebre discorso nella storia della neonata Regione Abruzzo. Avrebbe dovuto essere l'illustrazione delle «disposizioni dello Statuto regionale» nella sua qualità di primo presidente del consiglio all'assemblea riunita per l'approvazione, ma soprattutto la definizione del capoluogo. Sarebbe diventato l'innesco di una miccia che per una notte e due giorni ha messo a ferro e fuoco L'Aquila (26, 27 e 28 febbraio 1971), con disordini, danni, feriti, arresti; le sedi della Dc e del Pci date alle fiamme; bruciate le case di esponenti politici.

Il clima di quei giorni e di quei mesi era da guerra civile appena tenuta a freno, sulla scelta della città capoluogo si scontravano L'Aquila, che rivendicava una superiorità storica e culturale, e Pescara il motore dell'economia, il dinamismo della modernità. Nei mesi dell'estate 1970, dopo l'elezione del primo consiglio regionale, Pescara era stata teatro di manifestazioni e tafferugli, con assalti ai Grandi Magazzini Standa, che facevano temere il peggio.

Mattucci aveva passato l'ultima settimana a preparare quel discorso. Lo scrisse e lo riscrisse cinque volte rimarcando il punto dolente del capoluogo - l'articolo 2 - che era stato risolto dalle forze politiche. Un compromesso che premiava L'Aquila ma non scontentava Pescara, riservando alla città adriatica una sorta di «pari dignità». Ma incappò in un lapsus diabolico quanto nefasto.

Al passaggio più atteso sbagliò la congiunzione fondamentale, lesse: «Il Consiglio e la Giunta regionali si riuniscono a L'Aquila e a Pescara» invece di «o a Pescara». Quel lapsus azzerava il primato dell'Aquila, un cerino gettato sopra una montagna di polvere da sparo. E ad accenderlo, ci pensò una correzione temeraria.

L'errore di Mattucci venne rimbeccato a voce alta da un suo compagno di partito, Francesco Benucci di Teramo ma di «fede» nataliana nonché «purista» della lingua italiana. Nel tentativo di rimettere le cose a posto gridò alla volta del presidente tre volte «o» «o» «o» che per una platea già «nervosamente carica» suonò come un incitamento alla ribellione. E nell'aula del consiglio provinciale aquilano, che ospitava l'assemblea regionale e una folla mai vista, successe il finimondo con urla e lanci di monetine verso gli spazi occupati dai consiglieri.

Il retroscena del lapsus di Mattucci, per tutto questo tempo è rimasto sepolto nella memoria di Silvio Graziosi, giornalista professionista di lunga esperienza. Ora in pensione, ha creato dal nulla l'ufficio stampa della Regione Abruzzo, e per oltre vent'anni Graziosi è stato l'«uomo invisibile» che ha proiettato la Regione fuori dal Palazzo dell'Emiciclo, ha diffuso e fatto conoscere con un linguagio semplice norme difficili e provvedimenti che altrimenti sarebbero rimasti materia per addetti ai lavori. Il suo impegno ha fatto scuola, ne segue le orme il successore Giovanni Ruscitti.

La Regione Abruzzo compie quarant'anni. Nacque il 7 giugno 1970 con le elezioni che disegnarono il primo consiglio. Se ne è andato poco meno di mezzo secolo, sono arrivati 12 presidenti di governo regionale, 18 presidenti dell'assemblea, nove legislature di cui due interrotte traumaticamente. E' costellata di Guinness di primati il turbolento tragitto della Regione in Abruzzo, c'è persino un presidente, Antonio Falconio (del centrosinistra), che dopo aver perso le elezioni è passato con l'altra parte (il centrodestra), e ad ascoltare oggi Silvio Graziosi si incappa in altre sorprese.

Scopriamo così che le «difficoltà giudiziarie», per così dire, ne segnano l'esistenza sin dal primo vagito. Raccolti come in un album di figurine, negli archivi di Graziosi ci sono i protagonisti di ieri e di oggi, ma anche notizie mai conosciute prima. Prendete quella dei guai della Regione con la giustizia che cominciano il giorno stesso dell'approvazione solenne dello Statuto.

Una cronaca da riscrivere. E' il 31 marzo 1971, i moti dell'Aquila non hanno portato strascichi ulteriori, così il consiglio regionale si riunisce in seduta pubblica nella sala più accogliente dell'Auditorium del castello spagnolo e approva lo Statuto. C'è soddisfazione tra i politici, il momento è importante, e il presidente Mattucci (ancora lui) pensa che vale la pena di un brindisi. Riunisce i colleghi in una saletta e stappa qualche bottiglia di spumante. Quelle bollicine costarono a Mattucci e a tutto l'ufficio di presidenza una denuncia del prefetto dell'Aquila Luigi Petriccione, a quei tempi anche commissario di governo, per distrazione di fondi pubblici. Finirono tutti sotto inchiesta e poi prosciolti perché non c'era stato reato.

Altro clamore e più amare conseguenze ha invece prodotto la retata della notte del 29 settembre 1992, quando scattarono le manette ai polsi di tutti i componenti della giunta Salini per le vicende legate all'assegnazione dei fondi Pop; e ancora di più l'arresto per corruzione del presidente Ottaviano Del Turco il 14 luglio del 2008, insieme a un paio di assessori, ex assessori, consiglieri e funzionari. Sono le penultime pagine della storia.

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