Villa Pini, rabbia e disperazione

Muro contro muro in consiglio regionale ma la vertenza è senza risposte

PESCARA. Disperazione scandita, urlata in faccia. Al 330º giorno senza stipendio un coro di indignazione si rovescia sui banchi del consiglio regionale. Il fallimento di Villa Pini e dieci mesi di crisi del gruppo sanitario sono ancora un’emergenza sociale senza risposte.
E’ certo che gli amministratori regionali non avrebbero voluto il confronto nell’assemblea riunita nella sala del Comune di Pescara. I lavoratori di Villa Pini l’hanno presidiata ieri, controllati a vista da un ampio schieramento di forze dell’ordine dentro e fuori il municipio. Traffico impazzito in piazza Italia.
Pescara accoglie così i naufraghi della sanità privata che arrivano in massa per partecipare ai lavori del consiglio regionale. L’argomento Villa Pini non è all’ordine del giorno, eppure i dipendenti gremiscono la sala. Tante donne in prima linea, soprattutto dei centri San Stefar.

Tutti lì, pronti a non cedere un passo senza aver avuto risposte, la risposta del presidente-commissario Gianni Chiodi sui guai che ogni giorno devono affrontare come padri e madri di famiglia, mutui da pagare e un senso di sconfitta che stringe il cuore.
La protesta cova mentre alcuni sindacalisti contattano Chiodi nella sala stampa del municipio. Chiedono di anticipare in aula di consiglio le risposte che il presidente darà venerdì in quinta commissione sui problemi del gruppo sanitario. Ma Chiodi non ha risposte, se non qualche proposta «che i nostri avvocati stanno vagliando», dice, «perché non è facile. Non perdiamo la calma» è l’invito di Chiodi ai leader sindacali, ma la disperazione di Villa Pini non ha più tempo. La protesta cresce mentre in aula battimani sempre più incalzanti ritmano slogan carichi di rabbia.

Urla e fischietti sibilano nella grande sala: «Buf-fo-ni... buf-fo-ni. Vergogna. A lavorare! a lavorare! Siamo stati fin troppo bravi fino a oggi, questa è la verità...».
Gli assessori affiancano il presidente. Ci sono Febbo, Castiglione, Gatti e Carpineta con Lanfranco Venturoni in trincea. Qualche consigliere del centrodestra sfoglia distrattamente il giornale e, per un attimo, si sfiora lo scontro fisico con il muro dei lavoratori ammassato sulla balaustra. Issano striscioni e non stanno nella pelle i dipendenti, indispettiti dal blando protocollo assembleare. Il presidente Nazario Pagano vorrebbe interrompere subito la seduta ma comprende che il dialogo non è differibile, impossibile abbandonare l’aula. Venturoni resta lì, nervi saldi. Sono le risposte a mancare, non ancora disponibili, nonostante il fallimento di un pezzo della galassia societaria della famiglia Angelini decretato pochi giorni fa dal tribunale di Chieti.

«Il problema è proprio questo. E potremo risolverlo solo quando avremo certezza di un nuovo datore di lavoro», si difende l’assessore alla sanità rispondendo alle istanze dei San Stefar. «Ma i centri di assistenza», ribatte con piglio Venturoni, «servono all’Abruzzo e non verranno chiusi. Questo è sicuro».
I lavoratori invocano un impegno politico che metta fine all’incubo di una crisi non più sostenibile per migliaia di persone. Alcuni prendono la parola direttamente al microfono offerto da Venturoni che interpreta bene il passaggio difficile e cede la parola. E’ il momento dell’ascolto. Parla Paola Salvatore, San Stefar di Teramo: «Non abbiamo più tempo», dice senza perdere lucidità, «stiamo perdendo i nostri figli, la nostra casa, la nostra libertà e la nostra dignità». La tensione finalmente si allenta. Il presidente può interrompere il consiglio regionale.