Armani, il comunicatore di un’epoca: l’editoriale del direttore

Era l’unico al mondo che poteva trasformare una t-shirt a girocollo nera nella livrea di un codice di eleganza
ROMA. La sintesi dello stile Armani era un riassunto leggibile sul suo volto: persino le rughe di Re Giorgio sembravano composte e scolpite, come la sua divisa “total black” dal primo momento di notorietà sino alla fine. Nel mondo – quello della moda – a cui a torto si attribuisce il massimo di leggerezza e della virtualità creativa, Giorgio Armani rappresentava esattamente il contrario di questo stereotipo: il rigore quasi militare, addestrato in una accademia del dovere a tratti feroce, la west point dell’eleganza.
Armani era un uomo che era diventato marchio di sé stesso, era una icona, era un emblema della riconoscibilità assoluta. Raccontava di dovere il suo grande salto a marchio globale, l’esplosione delle sue catene, nel 1980, a due film: “American gigólo” di Paul Schrader e “Gli Intoccabili” di Brian De Palma. Quei doppiopetto e quei tagli morbidi conquistarono il mondo camminando sulle spalle di Richard Gere e di Kevin Costner, passando per la porta dorata di Hollywood. Da piccolo si sentiva “bruttino”, da grande diceva di sé, in una bellissima intervista ad Aldo Cazzullo e Paola Pollo che (ri)pubblichiamo in queste pagine: «Non ero bello. Sono diventato bello». Anche il fisico era sottoposto a quella disciplina che era il filo conduttore di una biografia iniziata a Piacenza prima di trovare casa a Milano, Parigi e New York.
Era partito vetrinista della Rinascente, divenne creatore di un mondo in cui ognuno poteva trovare una forma e un canone. Era omosessuale, ma del suo privato e della sua relazione più importante (con Sergio Galeotti) non disse una parola per più di mezzo secolo. Oggi si dice “un vestito alla Armani”, “una semplicità alla Armani”, “una eleganza alla Armani”, un “nero alla Armani”, “un grigio alla Armani”. Che non vuol dire nulla, ma che è il più grande riconoscimento che uno stilista possa avere: diventare eponimo di qualcosa.
Non è stato certo l’unico ad impaginare la semplicità, il rigore, il nero o il grigio. È stato, però, come Steve Jobs per il computer e l’iPhone, il comunicatore e il codificatore di un’epoca, il cartografo che disegna la mappa del tesoro. Si dice che sia stato l’ambasciatore dello stile italiano nel mondo. Non c’è dubbio che sia vero, ma lo è stato anche qui a suo modo reinventando una identità che era il contrario del cliché italiano. Armani è uno degli ultimi grandi anti-italiani, l’unico al mondo che poteva trasformare una semplice t-shirt a girocollo nera nella livrea di un codice di eleganza assoluto.
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