ESCLUSIVO | Lombardi (Proger): «Il Ponte sullo Stretto sarà come Maradona al Napoli»

Parla per la prima volta l’amministratore delegato della società progettista: «Opera strategica per il Paese. Garantita la protezione di uccelli e fauna marina»
PESCARA. Proger è la società che si occupa, insieme a un foltissimo gruppo di esperti e consulenti, della progettazione delle opere a terra del Ponte di Messina, su incarico del gruppo Eurolink. Lavora al progetto del collegamento dello stretto da più di due anni: è nata in Abruzzo ed oggi è una piccola multinazionale italiana che senza aver mai perso le sue radici italiane lavora in quattordici Paesi del mondo. Marco Lombardi, l’amministratore delegato della società svela per la prima volta tutti i dettagli tecnici del progetto che fino ad oggi sono rimasti coperti da un silenzio prudenziale, rispondendo a tutte le contestazioni.
Ingegner Lombardi, è lei l’amministratore delegato della società che progetta il Ponte?
(sorriso) «Ebbene sì, una delle tre: noi siamo Proger. Ma oltre a noi, mi preme sottolineare che questo è un progetto che ha coinvolto le migliori intelligenze e professionalità di questo Paese, grandi studi, specialisti ed esponenti prestigiosi delle Università italiane».
Perché hanno scelto voi?
«Questo non deve chiederlo a me. Forse aiuta il fatto che siamo la più grande società indipendente di progettazione in Italia».
Da quanto siete impegnati?
«Da marzo 2023: due anni e otto mesi che ci lavoriamo ininterrottamente».
Avete esperienza in ponti?
(sospiro) «Dopo la tragedia del Morandi furono affidati a noi i servizi di ispezione, sorveglianza di tutte le “opere d’arte” della rete autostradale italiana, tra cui i ponti. Una sorta di Ingegneria delle Manutenzioni delle autostrade».
Tanti?
«Più di 7.000 opere, oltre 2.000 ponti. Lei ha mai guardato con attenzione la Gioconda?».
Sembra una domanda-trabocchetto.
«Ha ragione. Molti non se ne accorgono, ma alle spalle della Gioconda, nel paesaggio, Leonardo immortalò il ponte Buriano, costruito in provincia di Arezzo nel 1277 a partire da un antico attraversamento romano. Un capolavoro nel capolavoro».
E cosa c’entra con voi?
«È il più vecchio dei nostri… assistiti. Ci curiamo del ponte più antico e del più giovane».
Parliamo di quello sullo Stretto allora. È vero che il cantiere distruggerà l’ecosistema, come teme la Corte dei Conti?
«No. Tutt’altro».
È vero che il Ponte non resisterà alla pressione del vento dello Stretto?
«Una balla colossale».
È vero che bisognava progettarlo con le pile in acqua, come vi hanno rimproverato?
«Sarebbe stata una follia: è facile da spiegare».
Era meglio fare una galleria sotterranea?
«Era impossibile, mi basta uno schizzo su carta per farglielo capire».
Era meglio fare una galleria sospesa, ma voi non avete voluto perché così ci guadagnate di più?
(ride) «Assolutamente no: sarebbe costato di più, semmai. Non a noi. A tutti gli italiani».
Siete davvero sicuri che il Ponte resisterebbe a un terremoto?
«Resisterebbe senza ombra di dubbio non solo al terremoto di progetto, ma anche ai terremoti più distruttivi tra quelli che abbiamo mai avuto sulla Terra».
Si teme che il passaggio resti chiuso per la maggior parte dell’anno.
«Non chiuderà quasi mai».
Ed è davvero un progetto vecchio di quindici anni?
«Che sciocchezza. È aggiornato fino all’ultimo momento utile, piuttosto. Altrimenti cosa staremmo facendo noi? Le ripeto che fior fiori di ingegneri ed esperti internazionali sono al lavoro da oltre 2 anni e mezzo».
Danneggia l’habitat?
«No».
Dicono che la gara è irregolare, andava rifatta.
«A mio modestissimo avviso non è così e le potrei spiegare il perché».
Quindi nega anche la preoccupazione più grande, che sarà costruito su una grande faglia sismica?
«Ovviamente si. È assurdo».
E come può spiegarmi che si parli di tutte queste criticità?
«Non lo so. Questo me lo spieghi lei: in ogni caso posso dimostrarle che sono fake news».
Perché rispondete solo ora?
«Lei mi sta intervistando ora».
Perché non siete intervenuti voi, prima?
«Forse questo è l’unico errore. Ma noi siamo ingegneri, progettisti, costruttori: abituati a parlare con i fatti. Zero proclami».
Siamo?
«Insieme a noi tra i responsabili del progetto ci sono quelli di Rocksoil, i più grandi esperti italiani di progettazione geotecnica. Quindi di fondazioni. E soprattutto Cowi».
Una società danese. Come mai?
«Forse perché sono i più grandi esperti di ponti sospesi al mondo? Sono quelli del ponte sullo stretto dei Dardanelli, oltre due chilometri di luce».
Loro cosa pensano di queste critiche?
«Posso dirle tutte la verità? Non credo riuscirebbero a capirle».
Addirittura?
«Credo che in nessuna parte del pianeta abbiano ricevuto obiezioni di questo tipo».
E perché lei ha scelto di parlare?
«Quando ho letto che persino persone esperte di medicina, legge, filosofia o addirittura neurobiologia hanno sostenuto che il ponte sarebbe crollato, e ho visto che qualcuno gli dava retta, ho pensato: “Non si può più tacere”».
Ce l’ha con i neurobiologi?
«Per nulla, li amo. Ma sarebbe come se io volessi dare consigli ad un cardiochirurgo su come operare a cuore aperto. Non è il mio mestiere. Che bello sarebbe un Paese dove ognuno si limitasse a spiegare ciò che sa...».
Cito l’ultima delle obiezioni: un ponte così lungo a campata unica non è stato mai fatto nella storia, in nessuna parte del mondo.
(sorride) «C’è stato un tempo in cui anche accendere il fuoco non era stato mai fatto. Uno in cui una casa a due piani non era stata mai costruita. Uno in cui nessun tunnel era stato mai scavato, nessun aereo aveva mai volato, in cui nessun razzo era mai andato nello spazio».
Sì, capisco. Ma ci sono cose che non si possono fare.
«Certo. Infatti, noi lavoriamo su quelle che scientificamente si possono fare».
Quindi questi dubbi sono tutti infondati o pretestuosi?
«Guardi il mio telefonino: ora le mostro il progetto di un grattacielo con uno stadio sul tetto. Lei non pensa che sia impossibile, perché siamo abituati a grattacieli “mai fatti prima” costruiti ogni anno».
E questo Ponte?
«Spero di riuscire a dimostrarle i motivi per cui è un’opera utilissima e straordinaria. Ma anche fattibile, sicura e rispettosa dell’ambiente».
Adesso mi spiega perché dobbiamo credere a tutte queste sue affermazioni spavalde?
(sorride) «Certo. Ma prima posso partire da un bellissimo libro?
Un libro?
«Ha mai letto “Il più grande uomo scimmia del Pleistocene” di Roy Lewis?».
Bellissimo, ma che c’entra?
«Il protagonista, come sa, è Edward, un papà cavernicolo dell’Africa centrale che nella preistoria inventa nuove tecniche di caccia come lancia e giavellotto, ma soprattutto il modo per accendere il fuoco… un capolavoro di ironia e intelligenza».
Gli altri ominidi non apprezzano il suo lavoro, all’inizio.
Peggio. Gli gridano: “Tu sei un pazzo Edward, e un giorno ci brucerai tutti!”».
Qualche rischio effettivamente lo corre.
«Ma quando riesce a governare la fiamma passa a vivere dagli alberi alla caverna, impara a tenere lontani gli animali selvaggi, a cucinare la carne...».
Lo racconta per trarne una morale?
«Certo. Un’idea diversa e utile, anche se per molti apparentemente folle, diventa progresso. L’innovazione come atto di coraggio individuale, spesso inizialmente osteggiato, che poi diventa il motore dell’evoluzione dell’intera specie...».
Ho capito che lei mi suggerisce una analogia con il Ponte. Però prima risponda a quelle obiezioni.
«Da dove partiamo?».
Dalle basi. C’è una faglia pericolosissima, quella di Cannitello, che passa proprio lì, sotto le pile. Rischio terremoto.
«Stanno progettando questo ponte alcuni dei più grandi esperti del mondo. L’analisi del suolo è stato il nostro primo impegno».
Scoprendo cosa?
«Quella non è una faglia, è un terrazzamento marino».
Ma se fosse un errore?
«Non cambia nulla. Perché non avrebbe una lunghezza tale da attivarsi con un terremoto».
Cioè?
«Non è in grado di attivare fenomeni sismogenetici».
Ma a Messina nel 1908 – ricordano gli storici di geologia – c’è stato uno dei terremoti più disastrosi della nostra storia!
«Esatto! In tale occasione – guarda caso – tale “supposta faglia Cannitello” non si è attivata… E abbiamo progettato il Ponte simulando l’impatto di un terremoto pari a quello del 1908».
Risultato?
«Il ponte ovviamente resiste».
Il fatto che sia improbabile non significa che sia impossibile.
«Bravo. E noi cosa abbiamo fatto? È stata testata la tenuta del Ponte simulando gli effetti dei sei tra i più distruttivi terremoti della storia del mondo, compreso quello di Kobe».
Che gli succede?
«Resiste! Perché la magnitudo non è l’unica caratteristica che contraddistingue un terremoto. Il Ponte è stato progettato con caratteristiche prestazionali assolutamente superiori a quelle delle altre strutture: nessun danno per eventi anche molto intensi e rari».
Le due pile sono alte come le due torri di New York, 399 metri. Enormi.
«No. Io dico: sono proporzionate. Proprio perché devono reggere una campata unica di oltre tre chilometri».
Con che strumenti si fanno questi calcoli?
«Con i programmi di simulazione più avanzati al mondo. Tant’è vero che tutte le strutture rivelano sempre un loro punto di rottura».
E in questo caso cosa avete provato?
«Nessun episodio sismico che sia mai accaduto nella storia potrebbe minare quella struttura, che è in acciaio e in sospensione, quindi estremamente flessibile per via della grande luce e intrinsecamente poco sensibile alle azioni sismiche».
Parlavamo del vento.
«Il Ponte è stato dimensionato per resistere a raffiche fino a 270 km/h. Nello stretto non è mai stata registrata quella forza».
E non può soffiare un vento più forte perché non è mai accaduto prima?
«Può accadere: infatti è progettato con input di vento di 270 chilometri orari, ma conta sapere che la velocità massima mai registrata in quel tratto di mare è con raffiche di 144 km/h».
Come avete testato questa resistenza aerodinamica?
«Sono stati costruiti modelli del ponte in scala da 1:30 - 1:65 e 1:80; per le Torri modelli in scala 1:100 e 1:200. Identici. E li abbiamo testati nella avanzatissima galleria del vento del Politecnico di Milano».
Lì cosa accade?
«Si riproduce sul modello quello che tecnicamente si chiama “vento di progetto”».
Fino a che velocità vi siete spinti?
«A 290 km all’ora! E sa che succede bombardando nella galleria del vento a 290?».
Cosa?
«Nessun fenomeno di instabilità».
Quali condizioni di vento si verificano su altre infrastrutture?
«Vuole un riferimento? In autostrada, le prime limitazioni di traffico – telonati, furgonati, caravan... – iniziano con venti superiori ai 40 km/h, nel nostro caso le barriere antivento consentono transiti molto meno restrittivi».
Ecco l’altro argomento: il ponte tiene, ma si determina una “Instabilità operativa” che vanifica la sua costruzione.
«C’è un dato, infatti, che abbiamo calcolato: sul ponte transiteranno 6.000 veicoli/ora e 200 treni/giorno. Sa ogni quanto si dovrebbe fermare il traffico sul ponte causa vento?».
Non ne ho idea.
«Praticamente mai: per i treni le limitazioni – non chiusura! – iniziano con raffiche di vento superiori a 150 all’ora; per i veicoli superiori a 220. Ma con tali condizioni meteo il traffico è già inibito a terra».
Così poco?
«Ehhh!… Mi accorgo, quando leggiamo obiezioni e dubbi, che provengono da due grandi categorie, diverse tra di loro».
Quali?
«La prima è fatta di persone che io comprendo. I non tecnici: criticano non conoscendo la materia».
E la seconda?
«Pochi tecnici, che sanno di che parlano. Ma che probabilmente volevano fare il Ponte, ma con altre idee».
Soltanto le vostre sono giuste?
«Abbiamo tenuto insieme la valutazione su costi, limiti strutturali, impatto ambientale, attenzione all’ecosistema».
Però voglio tornare al tema “dell’unicità”. Non è banale che nessuno abbia mai fatto un ponte sospeso con una campata di 3.3 chilometri.
«No, non lo è. Potrei dirle che non lo hanno fatto, forse, solo perché non hanno questo tipo di vincolo: 3.3 chilometri di luce e oltre 100 metri di fondale. Non certo perché siamo stati bravi a batterli sul tempo (sorride). E poi questa cosa del “non esiste un’opera analoga…” è pazzesca».
Poi ci torniamo. Ho letto che la Corte dei Conti, nei suoi dialoghi precedenti al giudizio vi ha chiesto: perché non avete messo le pile in acqua?
«Ecco due temi interessanti insieme: la Corte non ha parlato con noi, ma con i tecnici del Ministero, che sono i Committenti amministrativi del nostro Cliente Eurolink».
È sbagliato?
«Se fosse stata una audizione su temi tecnici, credo che sarebbe stato giusto ammettere anche i progettisti. È come discutere delle imbastiture di un vestito, non con il sarto, ma con chi vuole comprare il vestito!».
Ma perché non siete andati direttamente voi, alla Corte?
«Perché non ce lo hanno chiesto. Noi saremmo andati volentieri. Anche se – a mio avviso – le tematiche da discutere non erano ingegneristiche, quindi nulla da eccepire».
La seconda cosa che mi voleva dire?
«All’estero l’argomentazione “Non è stato mai fatto” non esiste. Semmai il contrario. Ci dicono: “Questa soluzione no… è scontata! Facciamo qualcosa mai fatta prima”».
Come se lo spiega?
«Nel Guinness dei primati ci finiscono le opere realizzate, non quelle progettate. Il mondo funziona così. Ma questo fa già scuola prima ancora di nascere».
Cosa intende dire?
«Con questo progetto abbiamo definito un modello- scuola di impalcato da ponte sospeso così innovativo che ormai viene chiamato “Messina Type Deck”. Bel paradosso».
Quale?
«I più grandi ponti sospesi progettati e realizzati secondo il “Messina Type” si ispirano ad un progetto italiano non ancora realizzato. Ahimé!»
Se fosse stato lì cosa avrebbe risposto alla Corte dei Conti, che chiedeva di considerare l’ipotesi delle pile in mare?
«È una domanda senza senso, sono certo che sia solo gossip, non credo che i magistrati della Corte dei Conti abbiano potuto porla».
Ma se avesse dovuto rispondere lei?
«La prima risposta sarebbe sui costi, che lieviterebbero in maniera folle: chiunque capisce la differenza tra scavare una fondazione in superficie o in mare con battenti di acqua di 100 metri. Non serve la laurea al Politecnico, basta aver costruito un castello di sabbia sulla battigia».
E il secondo tema?
«Qui ci siamo posti il vincolo della sostenibilità ambientale che in passato non si presentava prioritario: ha idea di quale catastrofe sarebbe stata per il fondale marino – flora e fauna ittica – scavare le fondazioni enormi delle pile in modalità subacquea? O – peggio – un tunnel poggiato sul fondo?».
La Corte scrive: non vi siete posti il tema della sostenibilità dell’habitat.
«Questo è incredibile. Abbiamo risposto a ben 239 diverse osservazioni di merito e domande della commissione di “Valutazione di impatto ambientale” e di altri soggetti istituzionali».
Su quali temi?
«Migrazioni, effetti dell’ombra, cicli di deposizione delle uova, fauna, tutela delle specie ittiche e ornitologiche, protezione della flora marina, disturbo acustico e luminoso sulla fauna terrestre e marina».
E come è andata a finire?
«Abbiamo risposto ai membri autorevoli e competenti della Commissione: tecnici, ingegneri, ambientalisti. La Commissione ci ha promosso».
Dovrete riparare ai danni prodotti dal cantiere.
«Il contrario».
Cioè?
«Il nostro approccio è innovativo. Per la prima volta, molti di questi interventi saranno realizzati prima dei lavori: potenziamo preventivamente l’ecosistema interessato dagli effetti del cantiere e non a fine lavori ripristinando ciò che si va a degradare».
Produrrete tonnellate e tonnellate di materiale di escavazione, per le fondazioni dei piloni.
«Ecco un ottimo esempio. Riutilizziamo quei sedimenti scavati per interventi di ripascimento e creazione di spiagge stabili sulla costa».
E le rotte migratorie?
«Anticipiamo, con l’apertura dei primi cantieri, con interventi di compensazione dei futuri impatti, riqualificando e migliorando gli habitat costieri e boschivi».
Come?
«Con la piantumazione di vegetazione e la costruzione di aree di sosta: stagni e superfici vegetazionali con frutti e macchie di arbusti di bacche per gli uccelli che popolano l’ecosistema dello stretto e che arrivano stanchi ed affamati dalle migrazioni transcontinentali».
Vuole dire che avete fatto studi predittivi sulle loro rotte?
«Certo. E su questa base facciamo interventi di compensazione persino su alcune isole intorno alla Sicilia creando nidi a supporto delle colonie di uccelli marini. Tutto è stato verificato dagli esperti del ministero dell’ambiente».
Però dicono che le pile sono un ecomostro, è innegabile.
«A me piace. Ha visto le foto-simulazioni? È un’opera straordinaria. E poi tutta l’area interessata dal Ponte sarà sistemata con un intervento paesaggistico unitario e fruibile da tutti».
Lodevole. Ma tutto questo non dà la garanzia che tali interventi ambientali funzionino nel tempo!
«Proprio per questo motivo creiamo un osservatorio ornitologico che monitora lo stato delle mitigazioni e delle compensazioni ambientali».
Mi vuole convincere che sarà meglio di prima?
«Non c’è nulla di strano. Pensi ai grandi parchi americani o a quelli italiani: fauna e flora sono più tutelate di prima, grazie alla vigilanza dell’uomo».
E i fondali?
«Grazie alla campata unica non li tocchiamo».
Ma c’è l’effetto dell’ombra creata dalla struttura.
«Trapiantiamo piantine di posidonia – fondamentale per l’assorbimento della C02 – prima dei lavori per realizzare i pontili. Creiamo nuove praterie di posidonia per mantenere protetto questo habitat marino».
E basteranno?
«Quando le trapianteremo, per effetto della coltura, saranno più estese di prima. Siamo a prova di Bonelli».
Cosa intende?
«Nel senso di Angelo. Credo che scoprendo questi aspetti un vero ambientalista come lui può capire che l’ecologia è stata una nostra bussola».
Non esageri.
«È un tema di cultura. La nostra è la società di ingegneria con il più alto indice ESG di settore: Rating AA».
E questo che c’entra?
«Molti dei nostri ingegneri sono giovani ed ecologisti della generazione Zeta: ci hanno portato un approccio innovativo, verde e proattivo».
Però la Corte dei Conti dice anche: c’e una norma legale che impedisce di “turbare” l’habitat.
«Questo vale – giustamente – se uno vuole costruire un Luna Park o un centro commerciale, o uno stadio».
Quand’è che l’Europa riconosce una possibilità di deroga?
«Se si tratta di un’opera strategica per un Paese. E questo – per fortuna – non lo nega neanche il più feroce oppositore».
Risolviamo anche i dubbi più banali: resisterà alla fatica? Ovvero al carico di un traffico che magari oggi non prevediamo? Al ponte Morandi è accaduto questo: era pensato quando gli autoarticolati non esistevano.
«Il Ponte Morandi non è crollato per fenomeni di fatica. Il fenomeno di fatica è connesso al rapporto tra carichi accidentali e carichi permanenti. Bene, ecco il dato: la somma di tutti i carichi accidentali che possono insistere sul ponte sono solo il 15% del peso della struttura stessa».
Cioè?
«Una volta che il ponte regge se stesso, il resto sono effetti secondari non determinanti. Sarebbe come chiedere ad un signore muscolosissimo di 100 chili, che porta in spalla uno zainetto con una bottiglia d’acqua, un computer e tre penne: lei è in grado di sostenere quel peso?».
Però non è solo un carico statico. È traffico in movimento.
«Bene. Allora immagini un rinoceronte con un topolino che scorrazza sulla sua schiena. Non se ne accorge nemmeno: le proporzioni sono queste. Il solo cavo pesa 175mila tonnellate; l’impalcato circa 90mila tonnellate; il carico stradale più quello ferroviario, invece, circa 45mila tonnellate».
C’è un’obiezione tecnica difficile da superare.
«Proviamoci».
La gara per questo Ponte andava rifatta perché il costo dell’opera supera del 50% quello previsto dal capitolato del 2011.
«Questo dubbio deriva da una norma giusta del codice degli appalti: le varianti in corso d’opera non possono superare il 50% dell’appalto».
E voi lo avete fatto?
«Non sono un avvocato ed eviterei di parlare di aspetti giuridici. Tuttavia, credo che il tema su cui dibattere sia se ci siano state o meno varianti che hanno fatto lievitare il costo dell’opera. Su una però cosa sono certo: la quasi totalità dell’incremento di costo è dovuto alla semplice attualizzazione del costo delle materie prime. Non c’è alcuna variante in corso d’opera che ha determinato tale incremento di costo».
Costa troppo il Ponte?
«Ma lei sa che dei 14 miliardi stimati, circa la metà sono le nuove opere a terra in Sicilia e in Calabria?».
La Corte dei conti osserva che il costo dell’opera non si ripaga.
«Attenzione. Quello che si deve ripagare con i pedaggi è la manutenzione non il costo di costruzione dell’opera».
Possibile?
«È così per tutte le opere di interesse nazionale e civile. Nessuno ha mai chiesto che venisse ripagata l’autostrada del Sole».
Tuttavia?
«Esiste una straordinaria analisi costi-benefici fatta da autorevoli professori universitari della Bocconi, che a mio avviso nessuno ha letto. Secondo questi calcoli il Ponte produce più ricchezza del suo costo pari a 14 miliardi».
Mi sembra difficile.
«Invece è così, perché i benefici più importanti sono indiretti».
Mi faccia un esempio.
«Maradona nel Napoli di Ferlaino: sa che quando si scoprì che era stato pagato 13 miliardi di vecchie lire ci furono polemiche enormi?».
Oggi sono ridicole.
«Oggi: ma allora a molti sembravano sensate. Ad esempio, perché pensavano che inserito in una squadra priva di campioni neanche Maradona avrebbe potuto fare miracoli...».
Invece vinse due scudetti e una coppa Uefa.
«Non solo: fece esplodere il turismo, il Pil della città e della regione, permise di acquistare altri giocatori fantastici, riempì lo stadio come non mai, aumentò tutti i valori: sponsorizzazioni, merchandising, magliette... La squadra delle infrastrutture italiane, grazie al Ponte farà faville, come quel Napoli».
Lo ammetta. Lei è un ultras della curva Ponte.
«Innanzitutto, ci tengo a dire che sono interista... quindi nessun conflitto di interessi sull’esempio.
Ah Ah Ah.
«Sa – invece – che, come cittadino, all’inizio ero scettico? Perché non sapevo, come molti, ahimé. Studiando dati e cifre per due anni ho capito le potenzialità di questa grande opera. Sarà davvero – direbbe Paolo Sorrentino – una mano de Dios per l’Italia».
Mi faccia un esempio.
«Sa che si può calcolare quanto vale economicamente in termini di tempo risparmiato per le persone?».
Intende il tempo di attraversamento?
«Dieci-quindici minuti invece di due ore: valgono 8.2 miliardi di euro di risparmio».
Però aumenterà il traffico.
«L’effetto del traffico, invece, verrà ridotto: sarà scorrevole invece che stanziale. Ma pensi all’abbattimento delle emissioni di CO2: l’analisi costi-benefici dichiara che ci saranno benefici economici in termini di mitigazione climatica per 5.2 miliardi di euro. E i Siciliani dovrebbero essere molto sensibili ad argomenti del genere: la siccità in Sicilia – ci spiegano gli ambientalisti – è anche figlia del riscaldamento globale».
Altri costi risparmiati?
«Uno, enorme: quello dell’insularità. Pesa 6.5 miliardi di euro, alla luce di uno studio della Regione Sicilia».
Me lo deve dimostrare.
«Si parte dagli aspetti sociali: qualità della vita, mobilità dei pendolari, benefici al tessuto produttivo, impulso al turismo, con l’abbattimento dei costi di viaggio».
Ma intorno a Maradona, la squadra delle infrastrutture siciliane non è da serie A.
«Questa è un’altra fake news... Anche grazie al Ponte, sono in corso enormi investimenti sulle ferrovie. Io conosco bene lavori attualmente in corso per oltre 10,5 miliardi di euro».
Dove?
«Sintetizzo: oltre 3,6 miliardi sulla Salerno-Reggio Calabria; più di 2 miliardi sulla Catania-Messina. Poco meno di cinque sulla Palermo-Catania».
Ha letto la battuta di Don Ciotti? “Temo che il ponte diventi una infrastruttura che connette da cosca a cosca”.
«Sì. Stimo Don Ciotti, e conosco bene il lavoro che Libera fa contro le mafie. Ma sono certo che se venisse a controllare i lavori in termini di legalità tornerebbe tranquillo».
Bisogna provarlo.
«Tutti i soggetti che lavoreranno con noi sono stati passati ai raggi X dal nostro Committente».
In che senso?
«Io ho dato i nomi dei miei consulenti, dei miei fornitori al mio appaltatore, Eurolink: erano tutti super in regola a livello di certificazioni e infatti partecipano regolarmente a tutte le gare pubbliche. Nonostante ciò, dopo le verifiche, qualcuno è stato scartato».
Come mai?
«Credo per un principio di massima precauzione, come a Genova. Inoltre è utile far sapere che il presidente di Eurolink è l’ex capo della polizia Gianni De Gennaro. Aggiungo un punto».
Quale?
«Credo che Don Ciotti lo conosca, per il lavoro fatto sugli stessi temi, e sappia che un uomo con la storia di De Gennaro non “farà connettere” mai nessuna cosca».
Ma il progetto è davvero quello del 2012?
«È stato ottimizzato con le più moderne tecnologie».
Ad esempio?
«Introduzione di retrocamere nei blocchi di ancoraggio per sostituzione delle funi, snodi sferici nei pendini, introduzione della tecnologia del digital twin per il monitoraggio e la manutenzione dell’opera... Ma anche utilizzo di acciai più performanti non esistenti all’epoca del progetto originario».
Il Ponte è tutto intessuto di acciaio.
«Sono cavi enormi, di diametro pari a un metro, costruiti con fili di acciaio che svolti in lunghezza svilupperebbero circa un milione di chilometri. Tre volte la distanza tra la Terra e la Luna!».
E questi fili costituiscono il cavo che regge il ponte?
«Il cavo esce con diametro un metro e venti, in forma approssimativamente ottagonale, poi compattato a un metro, tondo, rivestito di sostanze protettive anticorrosive e di un’altra guaina di acciaio, come una “calza”».
Quanto durerà il ponte?
«Tanto. Soprattutto perché è progettato per essere manutenuto in maniera intelligente nel corso del tempo».
Ma i geologi segnalano che le due coste si allargano di due millimetri l’anno.
«Adesso semplifico. Pensi al meccano con cui giocava da bambino. A inizio e fine ponte c’è un giunto che si può sostituire. Quando servirà una piccola “prolunga aggiuntiva”: apri, infili e richiudi».
Davvero ci metterete solo otto anni a finire?
«Se iniziamo, sì».
E se tardate a consegnare l’opera?
«Ho letto che il contratto che l’appaltatore ha firmato prevede un milione di euro di penale per ogni giorno di ritardo. Non è poco, direi».
Cosa le ha detto la Meloni quando ha visto il progetto?
«Non lo so, non so neanche se lo abbia mai ricevuto. Certamente non da noi».
E Salvini?
«Neanche lui».
Non ci credo.
«Non ce lo hanno chiesto. Noi siamo tecnici, parliamo con i tecnici».
E lei illustrerebbe il Ponte a loro, a Conte, alla Schlein, a Bonelli e Fratoianni?
(ride) «Se ne ho parlato per tre giorni con lei posso farlo con chiunque».
Cosa pensa di chi dice che è un’opera “di destra”?
«Vorrei sbattere la testa al muro».
Esagerato.
«Quando si è pensato seriamente al primo progetto del Ponte, nel 1840, governavano i Borbone e non c’era l’Italia Unita. Quando nel 1876 fu proposto il primo ponte sospeso da Giuseppe Zanardelli, mio nonno non era ancora nato, ma era appena andata al potere la sinistra storica risorgimentale di Agostino De Pretis. Quando è nata la società sullo stretto, nel 1969, governava la Dc, che non esiste più da 33 anni!».
Cosa vuole dirmi?
«Che in tempi diversi tutti hanno lasciato una loro impronta: destra, sinistra, centro».
Risposta brillante ma non eluda la domanda.
«Per noi, che li costruiamo, fin dai tempi dei romani i ponti rappresentano progresso e sviluppo. Da sempre. Per questo, dice Renzo Piano, sono la prima opera che si costruisce in tempo di pace, e il primo obiettivo che viene abbattuto, in tempo di guerra».
Ma nell’Italia di oggi? Non si sottragga.
«Ascolti: prima di quest’opera, la più importante connessione europea è stato il Tunnel sotto la Manica: progetto iniziato nel 1988 da una premier britannica di destra, la Thatcher, e da un presidente socialista, Mitterrand».
Può capitare.
«Forse. Ma pensi che anche al momento dell’inaugurazione, nel 1994, c’era ancora un socialista all’Eliseo, sempre Mitterrand, e sempre un conservatore in Gran Bretagna, Major».
D’accordo, ma per dire cosa?
«Che le opere non hanno colore politico. Solo in Italia costruiamo la curva sud su un progetto di viabilità».
Cosa spera che arrivi a chi legge questa intervista?
«Che se non c’è trasparenza e correttezza scientifica su dati e numeri viene manipolata l’opinione pubblica».
Mi dica se ha un’ultima argomentazione per convincere chi ci legge.
«Ha letto Connectography di Parag Kannah? Un saggio illuminante. Il mondo moderno oggi si sviluppa solo per connessioni digitali e infrastrutturali».
È una possibilità.
«No, è un fatto. La tecnologia oggi abbatte limiti fisici mai superati nella storia».
Suggestivo, ma mi dica un’altra argomentazione.
«Lo sa che il Mediterraneo, pur coprendo solo l’1% della superficie marina mondiale, gestisce circa il 20% del traffico marittimo globale, ma noi lo intercettiamo in piccolissima parte?».
E quindi?
«Il ponte abbatte il limite che noi italiani possiamo superare per avvicinarci al Mediterraneo e al resto del mondo. Le pare poco?».
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