La forza attraverso la pace: ecco il volto del piano per Gaza

16 Ottobre 2025

Al profilo di Augusto e all’eredità dell’impero Romano, il presidente Usa e il suo ufficio stampa si sono ispirati sin dall’inizio

ROMA. È il primo successo della dottrina che il presidente degli Stati Uniti aveva abbozzato all’inizio del suo secondo mandato, quella della «pace attraverso la forza»? O forse invece quello che sta succedendo è l’applicazione di un altro principio mai articolato ma riassumibile in «la forza attraverso la pace»? Nonostante i suoi proclami e le sue ambizioni da premio Nobel, Donald Trump non crede nella pace: in patria ha spinto gli Stati Uniti sull’orlo di una guerra civile asimmetrica, con l’esercito pronto a intervenire nelle città che proteggono gli immigrati, con il corpo Ice responsabile di difendere i confini trasformato in una milizia che risponde solo al presidente.

All’estero, Trump ha promesso l’annessione della Groenlandia, che è parte del territorio della Danimarca, dunque si tratterebbe dell’attacco a un Paese membro della Nato. Ha evocato più volte l’idea di inglobare il Canada come cinquantunesimo Stato dell’Unione, di trasformare il Messico in un Paese vassallo e controllato. Senza annessione, ovviamente, per non trovarsi i messicani dentro i confini americani.

Ora sta aumentando la pressione sul Venezuela al punto che molti si aspettano un’operazione di cambio di regime come quelle in Medio Oriente, anche se non certo per sostituire Nicolas Maduro con Maria Corina Machado, appena insignita di quel premio Nobel per la Pace 2025 che Trump reclamava. Trump è poi andato allo scontro con Paesi grandi e piccoli, con l’India, con la Cina, con il Sudafrica. L’elenco è lungo. Un’amministrazione che si proclama isolazionista, ha cambiato nome al ministero della Difesa per chiamarlo “della Guerra”. Tutto questo era vero anche prima della firma degli accordi del 13 ottobre, ma davvero viene sovrascritto dall’accordo in Egitto? Accordo negoziato senza i palestinesi e firmato senza Israele. Anche i più critici, nei giorni scorsi, hanno dovuto riconoscere che un primo risultato Trump l’aveva comunque già ottenuto. Fermare la violenza a Gaza, quello che secondo moltissimi era un genocidio.

In realtà, la violenza continua, anche se su una scala diversa. Israele ha sparato su diversi palestinesi che tornavano nelle loro case a Gaza City, dopo la tregua. Almeno sei persone sono morte. L’esercito dice che quei palestinesi avevano provato a superare la linea dietro la quale si sono ritirate le truppe israeliane, senza lasciare Gaza. Alle giustificazioni di Israele per i massacri non crede più nessuno, ma questa inutile strage conferma che i palestinesi di Gaza rimangono prigionieri di un esercito occupante. Trump non ha imposto la pace con la forza, ma ha impostato una pace che consente di usare la forza senza lo stigma della guerra.

Vale per Israele come per Hamas che ha lanciato quella che il Wall Street Journal definisce «una mini guerra civile contro potenziali rivali palestinesi». Dozzine di persone del clan Dogmush sarebbero state uccise in esecuzioni pubbliche.

Non solo. Israele e gli Stati Uniti hanno di fatto accettato che Hamas continui a governare Gaza con i suoi metodi finché non ci sarà questo fantomatico gruppo di tecnocrati palestinesi supervisionato dal “consiglio della Pace” guidato da Trump in persona. Inoltre, Hamas non ha formalmente preso l’impegno a consegnare le armi. E sarà interessante vedere chi potrà verificare che smantelli i tunnel che hanno permesso al gruppo terroristico di sopravvivere in due anni di guerra e di continuare a minacciare Israele.

Hamas conta di usare la pace per conservare la propria forza, così come per anni ha usato le sofferenze e la rabbia dei palestinesi per proporsi come riferimento politico al posto della più moderata Autorità nazionale palestinese.

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