La Repubblica in sciopero, Pucciarelli: «Noi come operai Stellantis senza certezze sul futuro»

Parla il rappresentante del Comitato di redazione del giornale: «Gli Elkann hanno dei doveri nei nostri confronti. A rischio il pluralismo nel Paese»
PESCARA. «Gli Elkann ci stanno girando le spalle. Lavoriamo come gli operai di Stellantis e quelli della Iveco: senza certezze sul domani». Dicono sia l’ultimo giornalista di sinistra rimasto, Matteo Pucciarelli. Sta di fatto che, in questi giorni, indossa le vesti del sindacalista. Giovane e dall’accento toscano, Pucciarelli è un rappresentante del Comitato di redazione di Repubblica, il quotidiano del gruppo editoriale della famiglia Elkann che, insieme a La Stampa, sta per essere ceduto ad Antenna, conglomerato editoriale internazionale di proprietà dei Kyriakou, nota famiglia greca di imprenditori con affari nel settore dei media, delle navi, della finanza e degli immobili.
Ma Pucciarelli non è solo questo: è l’eredità giornalistica di chi ha scritto pagine di informazione in Abruzzo. Il nonno Carlo è stato uno dei fondatori del Centro, nonché suo direttore. Il giornalista dice che «con i greci non ci ha parlato nessuno», ma che era «prevedibile» visto che «dopo giorni e giorni di smentite, la conferma della vendita è arrivata soltanto domenica scorsa». Su cosa succederà dopo non ci sono garanzie. Per questo il quotidiano, oggi, è in sciopero: «Il primo di un pacchetto di cinque giorni in cui non lavoreremo. Non solo il nostro lavoro, ma la democrazia di questo Paese è a rischio», spiega il giornalista.
Pucciarelli, quanto è pesante l’aria che si respira in redazione?
«Pesantissima. Si lavora pensando a tutt’altro. E andiamo avanti così da circa due mesi. Tutte le nostre discussioni sono legate al tema della vendita. Viviamo una situazione che deprime l’intero corpo redazionale».
Si dice che l’intenzione dei possibili nuovi proprietari sia chiudere le redazioni locali del quotidiano. Vi sono arrivate conferme?
«Al momento non ne sappiamo nulla. Speriamo di non dover affrontare il tema. Tutto questo teatrino è vergognoso nei confronti di chi lavora. Abbiamo la nausea. Per fortuna la politica ha battuto un colpo: significa che si vedono i rischi in cui sta incorrendo il Paese».
Il sottosegretario all’Editoria, Alberto Barachini, ha convocato azienda e sindacati per affrontare la vicenda.
«Saremo anche sui palchi allestiti dalla Cgil per lo sciopero generale. Stiamo cercando di far sentire la nostra voce il più possibile. Spero che si comincino a capire quali sono le possibili conseguenze di un eventuale passaggio – nella sfera di influenza della destra – di giornali come il nostro o La Stampa».
Vede questo rischio?
«Noi non sappiamo niente di cosa succederà dopo. Fino a due giorni fa la proprietà non era stata in grado di dirci nulla, nemmeno rispetto alla continuità occupazionale all’interno del quotidiano. Oggi (ieri per chi legge, ndr) hanno detto che avrebbero parlato con gli acquirenti».
Che cosa chiedete al gruppo Exor?
«Continuità occupazionale, almeno per un determinato periodo di tempo, e garanzie sulla linea politica del giornale. Le dico una cosa: il problema non riguarda soltanto noi: in gioco c’è la tenuta democratica del Paese».
E se gli Elkann facessero un passo indietro? Sareste disposti ad abbassare le armi e a far tornare tutto come prima?
«Nessuno qui fa le barricate per rimanere nel gruppo Elkann. Quello che noi vogliamo è che si assumano le responsabilità che hanno nei confronti dei loro lavoratori e del Paese. Sono loro che si devono sincerare che la vendita avvenga nel rispetto degli elementi fondamentali su cui noi chiediamo garanzie».
Può dirci qualcosa sulla situazione che stanno vivendo i vostri “cugini” della Stampa?
«La loro situazione è ancora peggiore della nostra, perché al gruppo greco non interessa di loro, non vogliono comprarlo. Il fatto che gli Elkann lascino un giornale che ha un legame così forte con loro, con la città di Torino, la dice lunga sulla gravità di quello che stiamo vivendo».
Vi aspettavate che la situazione degenerasse così velocemente?
«Era una storia già scritta. Sapevamo che alla proprietà non interessava nulla di Repubblica e dell’editoria in generale. Quello che vogliamo oggi sono solo garanzie sul futuro».
@RIPRODUZIONE RISERVATA

