L’intervista a Carlo Freccero: «Il digitale guida il mondo, solo la controinformazione eviterà derive autoritarie»

L’autore e storico direttore di Rai 2 su controllo e giornalismo nell’era di internet: «Guardatevi intorno: una propaganda incessante. Ma non è la fine della Storia»
PESCARA. «Non facciamo gli apocalittici, il digitale può essere una risorsa. C’entrano Musk, l’illuminismo, gli Elkann e la famiglia nel bosco. Ora le spiego». Davanti al mondo che cambia Carlo Freccero, autore e critico televisivo, direttore di Rai 2 dal 1996 al 2002 e dal 2018 al 2019, ha le idee chiare. Anche quando la realtà assume i contorni distopici di proposte choc: l’ultima è la stretta di Washington sul controllo dei social network per i nuovi ingressi in America. Anche se «nella società americana fondata sul pensiero di Hobbes e Locke», spiega Freccero al Centro, «l’egoismo e il male fanno da sempre parte del quadro». Non è la democrazia dell’illuminismo francese ma un pensiero pessimista in cui il sistema politico liberale è recintato dietro argini che oggi rischiano la rottura. Freccero ne è consapevole e lo dice senza mezzi termini: «Siamo al centro di una battaglia». Ma una luce c’è.
Freccero, in Occidente la democrazia sta crollando?
«C’è un rischio, sì».
Chi minaccia questo sistema?
«Il digitale».
Bene. Ora ci dica come possiamo difenderci.
«Facile. Con il digitale».
Un paradosso.
«No, siamo in battaglia. Mettiamocelo in testa».
Con chi?
«Faccio un passo indietro: per la mia generazione, internet era il simbolo delle libertà. Voleva dire affrancarsi dal marketing televisivo».
Poi?
«Sono subentrate le agende di Big Data: tendenze, desideri dei consumatori, screening degli utenti…».
È questa la minaccia?
«Per ora è una conversione che ha snaturato la vocazione libertaria di internet. Siamo davanti a un bivio, glielo spiego».
Prego.
«Il digitale è un sistema di controllo sociale assoluto ma anche un nuovo sistema produttivo, che ha coinciso con il passaggio dall’economia reale alla finanza».
In termini più semplici?
«Siamo scivolati dalle esigenze dei singoli ai bisogni delle élite».
Come?
«Si guardi intorno: una propaganda incessante».
Questa però è una visione apocalittica.
«No, io non sono mai per la fine della Storia. Invece credo nella sua ciclicità».
Cosa non cogliamo?
«Il rovescio della medaglia. Potenziare la tecnologia può significare due cose: dare controllo assoluto nelle mani di pochi o aumentare le libertà individuali».
Il bivio. Ma chi decide la strada da prendere?
«La nuova generazione di informatici dovrà scegliere come sfruttare questo mezzo potentissimo».
Non è rassicurante. Parla di Musk?
«No, faccio un altro passo indietro. La Silicon Valley della vecchia generazione».
Bill Gates.
«La sua è la scuola ancora legata all’utopia del Nuovo ordine mondiale. Un concetto che oggi è stato superato».
Quindi la Silicon Valley di oggi cos’è?
«Il polo di una nuova generazione di informatici con una politica ben diversa: il libertarismo».
Ma sono spesso associati al nuovo fascismo.
«No, il contrario. I nuovi informatici identificano la libertà con la capacità di sottrarsi alla propaganda di massa».
Musk dice: il media siete voi. Tradotto: il giornalismo tradizionale è morto.
«Chiunque può accedere al digitale, chiunque ha in mano gli strumenti della controinformazione. Dipende da come si usano questi strumenti».
Ci spieghi meglio.
«Ma lo avete fatto anche voi!».
Parla del Centro?
«Certo, quando si è messo dalla parte della famiglia nel bosco. E la televisione ha dovuto rendersi conto del fenomeno. Ha invitato Youtuber, persone dal mondo del web. Significa una cosa ben precisa».
Cosa?
«Una testata locale è stata in grado di influenzare programmi tv, si rende conto? È un potere enorme».
Ma l’algoritmo è in mano a pochi miliardari.
«Certo, è lo storico scontro tra Davide e Golia».
Dove Davide siamo tutti noi cittadini. E Golia?
«Le faccio un nome: Peter Thiel».
Il proprietario di Palantir, azienda regina dei Big Data. E co-fondatore di PayPal.
«Più di questo: chi ha lavorato con lui lo chiama oligarca».
Oggi ha le mani su sistemi di sorveglianza, sulle armi, la difesa, l’intelligence, la sanità.
«Ne dimentica una».
Quale?
«L’informazione».
I giornali?
«No, il contrario. Pensi agli Elkann».
Ci spieghi.
«Thiel conosce gli Elkann molto bene. Lei sa che la famiglia vuole svendere il gruppo Gedi».
Sì, ma che c’entra con il digitale?
«Quello è il mercato su cui gli Elkann si stanno spostando. Elkann è altrove».
Dove?
«In America dove si è legato al mondo di questa nuova élite che ha le mani sul digitale e l’alta finanza».
Quindi Elkann vende il gruppo Gedi perché non crede più nell’informazione tradizionale.
«Esatto, è chiaro che a lui del giornale non importi più nulla».
E va sul digitale, controllato da un oligarca miliardario che ha le mani su tutto.
«Non è la fine del mondo. Il digitale è di tutti».
Lei è fin troppo ottimista.
«C’è una luce che nessuno coglie. Il punto è: qual è il limite del digitale e dove può arrivare chi lo controlla?».
Certamente alla politica, che finanzia. Musk con Trump, Thiel con Vance: chi comanda?
«Discutere sul potere o le scelte del singolo politico non ha molto senso…».
Quella sfiducia al voto che riempie le pagine dei giornali la spiega così?
«Certo, chi vota ha capito che il politico da solo non conta. Però l’America è un caso a parte».
Perché?
«È risaputo che la macchina delle elezioni, lì, funziona sulla base dei finanziamenti privati. Chi vuole creare una pista alternativa al sistema deve comunque trovare finanziatori. Milionari, come minimo».
Quindi Trump è o non è chi lo finanzia?
«È un mucchio di cose, ma soprattutto è un presidente che deve ristabilire il primato americano avendo tecnologie e armamentari obsoleti. Chi può finanziare questo progetto? I privati».
In alti termini…
«Oggi l’America non può pensare di alienarsi i miliardari senza il rischio di avere un fianco scoperto. E chi garantisce quello scudo ha le mani sul digitale: Thiel è solo uno degli esempi. Ma per capirlo bisogna leggere Hobbes».
Un momento. Che c’entra il Leviatano con un miliardario della Silicon Valley?
«Sono talmente connessi che perfino Thiel lo cita nel suo libro».
Ci illumini.
«La politica europea nasce da un’idea aristotelica: l’uomo come animale sociale. La democrazia americana, invece, nasce dall’Homo homini lupus, poi da Locke».
Precursore di quell’illuminismo.
«Profondamente pessimista. Vede, la democrazia americana non nasce da riflessioni sulla società, ma sull’individuo e il suo diritto alla felicità individuale. Con queste premesse, l’egoismo ed il male fanno sempre parte del quadro».
Che c’entra con il digitale?
«L’esistenza di questi due principi rende possibile ragionare in termini che privilegiano la sicurezza rispetto ad altre forme di valore. È la deriva naturale della democrazia americana».
©RIPRODUZIONE RISERVATA

