L’intervista a Mastrapasqua: «La nuova missione del cantiere pensioni: demolire il sistema»

21 Dicembre 2025

L’ex presidente Inps: «Si vada pure più tardi se si campa di più. Ma si rispettino equilibri, conti e certezza dei diritti acquisiti»

Quando ci sono da cercare un po’ di soldini per far quadrare i conti si va sempre dalle parti della Previdenza. È giusto farlo?

«Hanno sbagliato tanti governi. Ma sta sbagliando anche l’attuale».

Come mai?

«Evidentemente, il famoso cantiere delle pensioni, quello che ha visto per così tanti anni così tante persone occupate, quello che ha portato alla cosiddetta Riforma Fornero, ha trovato una nuova missione».

Quale?

«Non più riformare le pensioni, ma distruggere il sistema previdenziale».

Stanno avendo successo?

«Devo ammettere che, negli ultimi anni, questo esercizio sta riuscendo decisamente bene».

Lo dice con una certa cognizione di causa l’uomo che è stato l’unico presidente dell’Inps ad avere ricevuto il voto favorevole all’unanimità di tutte e due le commissioni lavoro di Camera e Senato, Antonio Mastrapasqua. Una vita da top manager e da grande commis d’etat. Il principe di quel deep-state che tutti dicono esista, ma di cui nessuno ha il numero di telefono. Non sai mai se Mastrapasqua sia più ironico o più sarcastico, ma di certo sai che dalle affilate mandibole sta per arrivare un morso. Chi lo ha provato, ne serba – comunque – un indelebile ricordo.

Insomma, Presidente, che succede dalle parti delle pensioni?

«Che, da qualche anno, alcune forze politiche, ma principalmente una, hanno ritenuto che promettere di riformare le riforme già fatte fosse il modo migliore per conquistare consenso».

Hanno sbagliato?

«Sì, secondo me. In primo luogo, nel merito, perché non ne esce nulla di buono per i cittadini».

In secondo?

«Veda, i risultati elettorali sono quelli che certificano se una decisione era opportuna. E quei risultati sono stati pessimi».

Sempre velenoso Lei.

«Macché! Se pensiamo a quota 100, non può non considerare che gli esperimenti hanno solo prodotto buchi miliardari nei bilanci e un’adesione di utenti assai scarsa. Nelle urne, poi, l’elettorato si è dimostrato più intelligente di chi supponeva di manipolarlo. Voti zero».

Eppure, non si arrendono.

«Vedo. L’ho già detto spesso, ma lo ripeto anche per questa finanziaria, non innovativa ma più confusa del solito: le pensioni sono carne viva. Sono il salvadanaio delle persone, i soldi risparmiati per un’intera vita per poter affrontare decisioni importanti. Non si dovrebbe giocare sulla pelle degli italiani».

Che cosa vuole dire?

«Che non sono decorosi gli emendamenti notturni, le riunioni a tutte le ore, i compromessi a tutti i costi. La previdenza sociale è una materia delicata e complessa».

Presidente, non facciamo alla francese, però! Non sarà questo gran dramma un progressivo e lento allungamento dell’età pensionabile!

«Badi che lei parla con il Presidente dell’Inps che chiese di collegare il pensionamento all’aspettativa di vita. Andare in pensione più avanti quando si vive di più è la cosa più giusta che possa esistere».

E allora?

«E allora si vada pure in pensione più tardi se si campa di più, ma si rispettino equilibri, conti e certezza dei diritti acquisiti».

Sui Fondi pensione, il silenzio assenso è giusto?

«In Italia si pagano già contributi altissimi, più del 33% della retribuzione».

E quindi?

«E quindi, è moltissimo. In questi giorni qualcuno ha scritto che, in fondo, in Inghilterra si fa lo stesso e i lavoratori scelgono se investire nei Fondi. Cippirimerlo, dico io, perché in Inghilterra i contributi previdenziali sono un terzo di quegli italiani».

Cosa vuol dire?

«Che rimangono più soldi nella tasca dei cittadini che potranno sicuramente con maggiore serenità scegliere di aderire a un fondo pensione».

In Italia, invece?

«Il fondo di tesoreria dell’Inps raccoglie il Tfr dei lavoratori delle aziende con più di 50 dipendenti e lo utilizza come un importante polmone. L’attuale governo vuole agevolare i fondi pensione, che nascono dalla contrattazione tra datore di lavoro e lavoratore, ma bisogna anche ricordare un altro particolare, non irrilevante».

Quale?

«Noi siamo un Paese in cui le piccole e medie aziende sono circa quattro milioni. Cioè più del 90% delle imprese italiane. Le quali usano il Tfr accantonato come autofinanziamento. Se lo si toglie, bisogna contemporaneamente compensare chi perderà questo gruzzolo, magari con accordi agevolati con il sistema bancario. Manca sempre un pezzo al puzzle, in questo Paese».

Spiccioli?

«Stiamo parlando di qualche miliardo l’anno che verrebbe sottratto all’autofinanziamento delle piccole e medie aziende, prevedendo, in cambio, nulla».

Chi ci guadagna, invece?

«I Fondi pensione non gestiscono in proprio i loro soldi, perché poi li affidano a dei gestori. Banche, istituzioni finanziarie o assicurative nelle quali – duole dirlo! – non sempre regna la trasparenza».

Quindi sono grossi regali alla finanza.

«Certo. E non finanza italiana: soprattutto estera. Il che rappresenta un ulteriore colpo per tutte le piccole e medie aziende. Sa cosa mi stupisce?».

Dica.

«Che in questi giorni di intenso dibattito sull’argomento, non ho letto una sola riga su questo aspetto. Né dagli analisti né, tantomeno, mi dispiace, dal ministero delle Attività produttive, che invece dovrebbe preoccuparsi proprio di questo. E avverto un silenzio inquietante anche da Confindustria che, sebbene gli iscritti siano in maggior parte piccole aziende, fa solamente gli interessi delle grandi. A chi dovrebbero rivolgersi le Pmi che dal 1° gennaio si trovassero prive delle necessità di cassa che erano aiutate dall’accantonamento del Tfr?».

Lei parla delle aziende, ma i lavoratori hanno maggiore convenienza con i fondi più che con il Tfr: maggiori interessi e minori tasse.

«Bisogna sempre vedere da che parte si vede il problema. Nel lunghissimo periodo il rendimento del Tfr “lasciato” in azienda viene rivalutato ed equivale, grossomodo, a quello nei fondi pensione. Fiscalmente ha dei vantaggi, ma ha molte incertezze. Osservo che molte sirene cantano le lodi dei Fondi. Ma io ho una certa esperienza».

Cosa vuol dire?

«Che gli sponsor che esaltano la bontà dei Fondi, su tutti i mass media, sono direttamente o indirettamente espressione di quei Fondi. Non hanno certo la libertà e l’indipendenza di poterlo fare in modo imparziale».

Ma sono Professori!

«O presunti tali».

Per concludere, quindi, a suo figlio che comincia a lavorare domani, lei consiglierebbe di tenere il Tfr in azienda?

«Assolutamente e indubitabilmente, sì».

Controcorrente.

«Non sempre la corrente indica la via giusta».

Chi quella via giusta non la vede, sbaglia per ignoranza, miopia politica o malafede?

«Un bel mix. Siamo seri: il mondo della previdenza è delicatissimo e ogni scelta fatta pesa sul futuro di ciascuno: quando andrò in pensione, quando mi trasferirò, quando realizzerò questo o quell’altro progetto di vita. Mi parrebbe bizzarro che un esponente del Governo dicesse che queste scelte possono essere ricambiate l’anno prossimo. Eppure, lo ha detto».

Sta dicendo che è un Governo incompetente?

«Mi perdoni, ma faccio un’analisi un po’ più profonda. Forse ho capelli troppo bianchi, ma ben ricordo ministri assai competenti che passavano il loro tempo inchiodati alla loro scrivania. E rammento anche Gabinetti dei ministri in cui c’erano persone come Franco Reviglio, Giulio Tremonti, Beniamino Andreatta. Squadre di primo livello».

Oggi?

«Oggi i Gabinetti dei ministri sono formati da social media manager, esperti di comunicazione e di eventi. Si fa un tweet e si sta a guardare. Se raccoglie like e, quindi, consenso, si trasforma il post in un Disegno di legge. I ministri raramente stanno seduti sulla propria sedia e inseguono l’emozione. La qualità del prodotto legislativo, poi, è quella che osserviamo. Ecco mi perdoni lo snobismo, ma non si governa in questo modo isterico. Poi mi fa aggiungere una strana cosa?».

Ci mancherebbe...

«So che è brutto dire, “ai miei tempi”, ma…».

Ma?

«Ma ai miei tempi quando si parlava di pensioni, i ragionamenti e le ipotesi venivano sviluppati dentro il ministero del Welfare, con un’interlocuzione forte con l’Inps che detiene dati, statistiche, competenze, e con il ministero dell’Economia».

Oggi?

«Registro la cataplessia umiliante del ministero del Lavoro, oltreché dell’Inps. Questo non rende merito a chi veramente conosce la materia. La politica può fare scelte giuste solo quando la tecnica fornisce dati economici, finanziari e statistici inoppugnabili e argomentati. Lei ha letto una sola riga dal ministero del Welfare?».

Manco una.

«Questo è intollerabile. Così come il silenzio dell’Inps. Capisco che siano cambiati i tempi, ma non si può sopportare questo silenzio assordante. Così le cose importanti diventano un gioco di numeretti, dichiarazioncine, emendamentini, sub-emendamentini e maxiemendamentoni».

Non sarà colpa del Deep State?

«Basta con questa frottola. Il Deep State, come lo chiama lei, è l’unico modo per poter governare un Paese. Ma, al tempo stesso, è il modo con il quale si può finire fuori strada».

In che modo?

«Se non si è capaci di interloquire con le burocrazie, se non si hanno capacità tecnico-giuridiche e culturali, oltreché esperienza, il Deep State è peggio di un boa constrictor. Pensi al balletto di decisioni intorno alla vicenda Industria 5.0 negli scorsi tre anni. Trenta decreti e non so quante circolari…».

Cosa dimostrano?

«Che la forza dei ministeri si sta, pian piano, indebolendo. E che la cerniera che dovrebbe unire le decisioni strategiche, i cui lembi sono rappresentati dalla Corte dei conti, dal Consiglio di Stato, eccetera, si rompe. E non unisce più nulla».

La qualità della legislazione è scadente?

«È tutto scaduto. Anche quest’anno abbiamo prodotto una quantità di leggi e regolamenti che rendono impossibile il cammino. Mi perdona poco patriottismo?».

Vada avanti.

«Non me ne voglia nessuno, ma le Olimpiadi di Milano-Cortina iniziano tra poco più di un mese e su 73 opere previste, ne sono state concluse meno di dieci. Le altre saranno concluse entro il 2030». Non funzionano i muscoli della pubblica amministrazione?

«Quello che servirebbe non è il bicipite, ma il “muscolo” dell’intelligenza. Non lo sappiamo o non lo vogliamo capire?».

Sulla crescita, che mi dice? Siamo da anni a percentuali da prefisso telefonico, mentre la Spagna cresce del 3%, gli Usa del 5%, la Cina non ne parliamo…

«Mi pare che ci sia tacito accordo di tutti i soggetti, dai politici ai burocrati agli industriali per ingegnarsi a fare tutto ciò che può servire a non far crescere il Paese. Se un’azienda vuole dare un premio a un dipendente perché ha lavorato bene o ha prodotto di più, deve preliminarmente fare un accordo aziendale. Ma se tu non hai ha una rappresentanza sindacale all’interno dell’azienda, bisogna fare i conti con una territoriale. Poi questo documento va certificato, poi questo certificato deve essere…».

Basta così, la prego!

«Sì, mi fermo, ma questo sta a significare che si è deciso tutti insieme, parti datoriali, parti sociali, politici e aziende, di scegliere un sistema nel quale pago poco, voglio poco, ottengo poco. Zero produttività, zero crescita».

È un Paese in disaccordo su tutto?

«No. Abbiamo approvato in cinque minuti all’unanimità di Camera e Senato, l’istituzione della festa nazionale per San Francesco. Siamo la nazione che ha più feste comandate in Italia, abbiamo il record di malattie rispetto al resto dell’Europa, e siamo specializzati in ponti».

Come quello di Messina?

«Magari! I nostri ponti condivisi sono quelli di scioperi, feste, ferie e malattia».

Il male peggiore?

«Curare problemi nuovi con medicine vecchie. Ministeri e ministri si incontrano su argomenti oramai desueti, con liturgie inattuali. Ha detto bene lei: noi non cresciamo. La Spagna riesce a crescere sei volte noi. Sei volte».

Come ha fatto?

«Basta vedere la legislazione degli ultimi anni della Spagna che ha innovato completamente il diritto del lavoro e le burocrazie. Da noi si parla solamente di diritti, mai di doveri. Sa come si fa uno stage in Gran Bretagna?».

Come?

«La mattina viene consegnata all’apprendista una lettera, il pomeriggio quella ragazza o ragazzo cominciano a lavorare. In Italia, è necessario e obbligatorio un accordo sindacale preliminare tra l’ufficio del lavoro e l’azienda, un’istituzione didattica e una sindacale. Ci vogliono circa 20 giorni per avere tutti i documenti firmati. A quel punto si può cominciare a lavorare, ma si deve rendicontare ogni mese quello che si è fatto. Credo sia per questo motivo, essenzialmente, che durante l’estate all’estero i ragazzi fanno i lavoretti, mentre i nostri stanno sulle spiagge a giocare a carte col telefonino».

Chi butta giù dalla torre, i sindacati o le organizzazioni datoriali?

«Entrambi, ma comincio dai sindacati».

La classe politica o la società civile?

«Purtroppo, la società civile produce quella politica, quindi non so chi salvare».

Li vede in relazione? Non ne sarei così sicuro.

«Son d’accordo, le preferenze sarebbero una grande cosa, ma tutti i partiti ne hanno paura perché non potrebbero più far andare liberamente in Parlamento persone improbabili. Ma comunque li butterei entrambi».

Non le piace la politica?

«Rino Formica, una delle menti più lucide della politica italiana, diceva che la politica è sangue e merda».

Cruda definizione.

«Molto cruda, ma molto vera, negli anni di Rino Formica».

Oggi?

«Di sangue non ne vedo più. Ma è rimasto il resto».

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