L’intervista di Marianna Aprile a Zerocalcare: «Assente alla fiera perché c’è un’operazione politica. Il ritiro? È già avvenuto»

8 Dicembre 2025

Il fumettista parla dopo il caso della casa editrice fascista all’evento di Roma. Il messaggio sul futuro: «Sono stanco delle polemiche. Voglio starne lontano»

Zerocalcare, questo è il weekend in cui avrebbe dovuto presentare alla fiera Più Libri Più Liberi il suo ultimo libro, “Nel nido dei Serpenti”, e invece siamo qui a chiederle di riassumerci esattamente cosa è successo e se le cose non potevano andare diversamente.

«Io ho alcuni paletti nella vita che mi sono dato quando ho cominciato questo mestiere. Quindici anni fa sembravano semplicissimi da rispettare. Uno è quello di non condividere spazi con i neonazisti. Una cosa che è diventata molto più complicata in questo momento. Sono state dette un sacco di cose, in realtà non è che nelle scorse edizioni non ci siano stati fascisti in fiera».

Qual è allora la differenza con quest’anno?

«La differenza è che, quest’anno, non c’è un editore nostalgico che propone testi di destra – posto che alcuni di questi testi sono proprio filonazisti e io vorrei chiedere se le SS si possono considerare il pensiero di destra – ma che ci troviamo di fronte a un'operazione politica, perché questo non è soltanto un editore, questo è un editore che è espressione di Casa G, che è un centro ricreativo culturale fiorentino, interno di fatto al partito di governo, che fa anche un lavoro di formazione per tutto quel mondo che va da Fratelli Italia fino a gruppi anche molto più a destra. Quello che voglio dire è che in realtà si tratta di un'operazione di una casa editrice che sta a quest’evento fortemente scortata e voluta dal governo stesso del nostro Paese. Mi chiedete perché non ho partecipato? Non mi andava di a normalizzare quella presenza. Non sono né per vietarli di stampare, né per vietarli di vendere, né per censurare niente, solamente che non voglio partecipare a un’operazione di questo tipo in una fiera finanziata da fondi pubblici».

Quando il ministro della cultura Giuli è andato a inaugurare “Più libri, più liberi”, in riferimento alla polemica sulla sua assenza, ha detto meglio contestare che censurare o assentarsi. Se tutti quelli come lei, che contestano la propaganda di quelle idee, si tirano indietro, chi poi va alle fiere ci trova solo quella roba lì.

«È chiaro che ci sono dei rischi, nel senso che uno si fa sempre delle domande su che cosa è giusto fare e che cosa no. Penso che, in generale, marcare delle linee che fanno anche scoppiare delle contraddizioni è un modo per sollevare un problema. Poi, chiaramente, bisogna ragionare insieme».

Nel suo nuovo libro la storia parte dalla vicenda di Maya T, una delle attiviste femministe non binarie detenuta a Budapest da un anno e mezzo, nelle stesse condizioni in cui abbiamo visto Ilaria Salis. Quest'estate lei è andato alla ricerca delle radici di quella storia, ma alla fine è diventato in qualche modo il pretesto per segnalarci, almeno così l’ho letta, quanto non vediamo le cose che succedono. Cosa è che non vediamo succedere in Italia?

«Sono situazioni molto diverse. Una cosa che però li accomuna è il fatto di avere partiti che stanno al governo e che dominano il discorso pubblico utilizzando delle parole che fino a qualche tempo fa erano completamente impensabili. Penso, per esempio, al fatto che adesso si possa ragionare come se fosse normale sul concetto di remigrazione, che significa deportazione delle persone. Ma su quali criteri? Perché poi alcune di queste persone sono anche nate in questo Paese e hanno la cittadinanza. Allora la domanda è: a cosa si fa riferimento per l'italianità? Al sangue? Alla razza? Al colore della pelle? Se cominciamo a pensare che è normale parlare di queste cose, tutto diventa molto pericoloso, anche perché evidentemente si sdogana tutto quello che ci sta dietro, anche in termini di violenza. Lo stesso concetto di antifascismo è cambiato incredibilmente rispetto a vent’anni fa. Prima l’antifascismo era la religione laica di questo Paese. Anche la destra in qualche modo, almeno quella che stava in Parlamento, faceva riferimento a un arco antifascista che era quello tracciato dalla Costituzione. A un certo punto la narrazione ha cominciato a cambiare: i partigiani comunque avevano fatto delle cose brutte, mentre Mussolini anche delle cose buone. Adesso, però, siamo sul punto di farlo diventare qualcosa da addirittura mettere sulle liste del terrorismo. Chiaro, io non penso che in Italia siamo a un passo da questa situazione, ma temo che il discorso culturale che ci si sta costruendo intorno vada in quella direzione».

Cioè di perdita dei fondamentali?

«Sì, fino a poco fa avrei detto che in qualche modo li stavamo mettendo entrambi sulla stessa bilancia. Adesso, in realtà, siamo nel passaggio successivo, in cui si criminalizzano i partigiani e si fa diventare mainstream il fascismo».

E cosa è andato storto?

«A me sembra che ci siamo fatti andare bene troppe cose in questo tempo. Abbiamo accettato un gioco molto ipocrita, in cui era evidente che delle persone che irridevano i principi della Costituzione ci giocassero sopra. Ora è sotto gli occhi di tutti. Per questo io penso che ad un certo punto ci sia bisogno che si delimitino i campi. Poi capisco che quando uno si chiede come arriva a fine mese la casa editrice fascista non sta in cima ai suoi problemi, perché pensa a tutto quello che ha da fare. Giusto e legittimo. Per questo, poi, il ruolo di chi fa i mestieri in cui si lavora con l'immaginario come il mio è diverso».

Stai dicendo intellettuale?

«No, figurati. Non lo userei mai per definirmi».

Ha scatenato il panico sui social, quando durante un evento a Berlino ha detto che si sarebbe ritirato. Poi, insomma, in qualche modo ha spiegato meglio a Repubblica quale fosse il senso, ma la domanda è: si ritira o no?

«Nella mia testa mi sono già ritirato, già da mesi. Poi, evidentemente, questa cosa non si vede dall'esterno. Io vorrei cercare di ridere dopo questo weekend, di stare fuori dalle polemiche. Ciò che è accaduto è esattamente ciò a cui non voglio più stare in mezzo. Io non ho alcuna pretesa di purezza, una qualità che spesso viene proiettata su una serie di persone, tra cui me. Sono una persona piena di contraddizioni, di debolezze, di robe storte e quindi non posso incarnare quel desiderio di integrità che una parte del pubblico proietta sulle persone come me».

Però se metto in fila le sue parole, alla fine lascia “Più libri e ci restano quelli di Passaggio al bosco. I social sono quello che sono, con invettive, polemiche, pretese di purezza, eccetera, e lei si ritira. È un abbandono di campo o una sconfitta?

«Mi fa mandare da un psicologo (ride, ndr). No, non lo so, a volte penso che quello che mi andava di fare e che ero in grado di mettere in campo l’ho messo, ma sento che ho delle difficoltà a interpretare il presente, in generale. Durante il Covid mi sembrava che mi riuscisse benissimo, ma dalla fine della pandemia in poi ho l’impressione che i miei riferimenti non siano più quelli del mondo di oggi. Quindi, non lo so. Posso solo dire che sono in grande difficoltà».

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