Pensioni, quella promessa tradita: l’editoriale del direttore

Servirebbero soluzioni coraggiose: una maggiore flessibilità nelle carriere e la definizione seria delle professioni “usuranti”
PESCARA. Volevano cancellare la riforma Fornero e in parte avevano ragione: troppo rigida, con molti lavoratori “usurati”. Volevano cancellarla, e lo gridavano ai quattro venti in campagna elettorale, ma invece alla fine l’hanno conservata o addirittura peggiorata. È vero che la politica deve essere realista, è vero che ci avevano detto: “Non giudicateci alla prima manovra!”, ma adesso siamo alla terza e a tutto c’è un limite: e invece, dopo i sit-in sotto casa della ex ministra, dopo le manifestazioni di piazza, dopo gli appelli e gli slogan, tutto potevamo immaginare tranne che, quando il centrodestra alla fine ha messo mano alla materia, il risultato finale sarebbe stato invariato (o in alcuni casi – come vedremo – meno vantaggioso). Possibile? Purtroppo sì. Sono scomparse le opzioni di uscita anticipata, adesso la Fornero è come una autostrada in cui non si può uscire più a nessun casello intermedio: entri a Napoli, ti fermi solo a Milano. Risultato? Già nel 2050 si andrà in pensione a 69 anni!
Con la Legge di Bilancio 2026, infatti, il governo Meloni sceglie la politica più conservativa che si possa immaginare sulle pensioni: nessuna modifica per sterilizzare l’aumento dell’età di uscita dal lavoro attivo. Prima conseguenza? Come previsto dalla Legge Fornero, un congegno automatico implacabile legato ad aspettativa di vita ed anzianità aumenterà di anno in anno l’età pensionabile in cui si può lasciare il lavoro. L’innalzamento avviene per tappe forzate, con un aumento modulato su due anni. Per dire: si andrà in pensione con un mese in più nel 2027, e ci si andrà con altri due mesi in più nel 2028 e così via. Solo i fortunati che svolgono lavori definiti “gravosi e usuranti” (attenzione: in coda spieghiamo il trucco) potrà rallentare questo orologio. Per tutti gli altri, anche se di poco, il traguardo si sposta sempre più avanti.
Altro paradosso incredibile: mentre la Francia sulla scia delle proteste sospende la riforma delle pensioni per mantenere il regime attuale (incredibilmente più vantaggioso della nostro, visto che si esce a 62 anni!), l’Italia continua ad aumentare ancora e supera la soglia fatidica dei 67 anni. La soluzione scelta dal governo Meloni (dicono i suoi difensori) consente di contenere l’impatto sul bilancio dello Stato perché produce un risparmio: infatti sterilizzare fino al 2028 gli aumenti previsti dalla riforma Fornero sarebbe costato 3 miliardi. Un esborso troppo alto per le casse pubbliche, che già dovranno sostenere l’aumento forzato di dieci miliardi l’anno (a debito!) per sostenere l’aumento della spesa militare. E il peggio deve ancora arrivare.
L’Istat, infatti, sulla base delle stime della Ragioneria Generale dello Stato, calcola che questo requisito anagrafico mobile per la pensione di vecchiaia nel 2050 salirà a 68 anni e 11 mesi (per entrambi i sessi) sempre secondo le stesse stime toccherà quota 70 anni nel 2067. E qui bisogna chiudere in bellezza. L’Italia continua ad alzare l’asticella del requisito, ma poi i conti non tornano lo stesso. In primo luogo perché sono state già necessarie nove “salvaguardie” per coloro che restavano “esodati” della riforma (ovvero: senza lavoro e senza pensione). E poi perché non tutti arrivano al traguardo contributivo: ho in mente un morto sul lavoro veneto di un anno fa, il signor Ivan, colpito dal gancio di acciaio nella sua cabina, mentre manovrava una gru. Una morte terribile. Il signor Ivan si trovava ancora al lavoro, a 67 anni, perché non aveva l’anzianità sufficiente a ritirarsi. La generazione che secondo questi calcoli dovrebbe smettere di andare in pensione a 70 anni, se arriverà viva a quella soglia, starà ancora peggio, e avrà trattamenti minimi: i boomers, nati dal 1970 in poi (uno è quello che vi sta scrivendo) sono – eccezioni a parte – la prima generazione precaria della storia. Passati da un lavoro all’altro, costretti a ricostruire percorsi contributivi poco limpidi, tortuosi e precari, gli anni del lavoro “nero” e degli stage in cui nessuno ha versato un centesimo.
Ma gli altri, i più giovani, se possibile staranno ancora peggio. Oggi abbiamo nipoti mantenuti dai nonni, con il welfare privato che sostituisce il salario di disoccupazione: domani avremo dei settantenni poveri (quei nipoti cresciuti) che se vorranno evitare la mensa della Caritas dovranno andare a fare delle rapine. Purtroppo il dramma previdenziale di domani viene sacrificato alla dittatura dei vincoli di bilancio di oggi, sfruttando la non consapevolezza del rischio previdenziale dei più giovani. Nessuno scenderà in strada contro questo mostruoso tradimento delle promesse elettorali realizzato dal centrodestra in queste ore. Perché nessuno nell’opposizione di oggi, tra i partiti che erano in Parlamento, può contestare queste scelte, perché la riforma Fornero fu approvata ai tempi del governo Monti dal novanta per cento dei gruppi parlamentari.
E fu contestata dai sindacati confederali di allora (anche dalla Cgil della Camusso) con sole quattro ore di sciopero. Fra l’altro la crescita dell’occupazione, che è l’unico dato economico apparentemente positivo di questi due ultimi anni, non è determinato dal fatto che ci siano più lavori, quanto piuttosto dal problema che si resta intrappolati al lavoro. E che dunque si liberano meno posti di impiego. Ovviamente non ce la raccontano così, ma è come se si considerasse indizio di successo di un ristorante la fila al suo ingresso. Quella fila – tuttavia – non è dovuta al fatto che si servano più coperti a chi mangia, quanto piuttosto al fatto che non c’è ricambio di clienti perché nessuno si alza dai tavoli e nessuno può sparecchiare per i nuovi arrivati.
La verità è che servirebbero soluzioni coraggiose: maggiore flessibilità nelle carriere, qualche scelta davvero impopolare, come ad esempio la definizione seria delle professioni “usuranti” (oggi un metalmeccanico o un edile non sono considerati tali!), e la tutela primaria per chi lavora con il proprio corpo. Ci sarà una differenza tra me che fatico usando la penna e un operaio che se ne sta alla catena in Val di Sangro? Tra me e i miei colleghi o un edile che sale sulle impalcature? Facciamo manovre lacrime e sangue considerando come dei “ladri” quelli che vogliono godersi il meritato riposo dopo mezzo secolo di lavoro: ma con questa ultima modulazione, dato che l’età media di vita degli uomini in Italia è giunta a 81 anni, sarà grasso che cola se (si tratta di un calcolo matematico) si riuscirà a restare fuori dal lavoro per undici anni.
Faccio una previsione di lungo termine: quando molti, tra i figli di queste generazioni ingannate scopriranno che si ritroveranno con il minimo della pensione sociale, temo che qualcuno di loro finirà a sparare. Nel 1977 il sovversivo tipo, un sospetto terrorista era un ventenne, studente, con i capelli lunghi e la Renault 4 rossa. Nel 2077 – invece – il potenziale eversore sarà un esodato previdenziale che svaligia Bancomat, calvo e senza dentiera. Perché il dentista non se lo può permettere.