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1 FEBBRAIO

Oggi, ma nel 1893, a Termini Imerese, in provincia di Palermo, sul treno Termini Imerese-Trabia, Matteo Filippello e Giuseppe Fontana, mafiosi di Villabate, uccidevano, con 27 pugnalate, Emanuele Notarbartolo, di 59 anni, originario di Palermo, già potente direttore generale del Banco di Sicilia, dall’ 1 febbraio 1876 nominato dal presidente del Consiglio dei ministri Marco Minghetti, su proposta del prefetto palermitano Luigi Gerra.

Il cadavere del marchese di San Giovanni veniva gettato giù dalla carrozza in corsa, all’altezza del Ponte Curreri, nelle campagne di Trabia. Notarbartolo, (nella foto, particolare), da esponente della Destra storica, era stato sindaco del capoluogo siciliano, dal 26 ottobre 1873 al 30 settembre 1876, prendendo il posto di Domenico Peranni e lasciando l’incarico poi, a Francesco Paolo Perez.

Notarbartolo era stato posto alla guida dell’importante istituto creditizio insulare, fondamentale per lo sviluppo dalle intraprese commerciali come del credito agrario, che però viaggiava verso il fallimento, a causa della precedente gestione, estremamente clientelare e disinvolta, per tentarne il salvataggio, provando anche ad avviarne la riforma statutaria.

Le difficoltà erano state causate dalle eccessive esposizioni di alcune società, tra le quali, la casa armatoriale palermitana Trinacria. A ciò si erano aggiunti i rapporti non limpidi con la classe politica locale e capitolina. E per di più era stato il connubio con il crack della Banca Romana, caso politico finanziario di grande risalto mediatico, scoppiato il 10 dicembre 1892, a Montecitorio, ritenuto il primo grande scandalo dell’Italia unificata.

L’omicidio Notarbartolo verrà reputato il primo assassinio a connotazione politica messo a segno da Cosa nostra. Il delitto ed il tortuoso l’iter giudiziario correlato faranno conoscere l’esistenza dell’organizzazione malavitosa anche nel continente.

Notarbartolo era stato allontanato dalla direzione del Banco di Sicilia il 6 febbraio 1890, per decisione governativa, ma era a conoscenza, grazie ai suoi fedeli collaboratori, del forte impiego illegale di danari dell’istituto, messo in atto dal suo successore, Giulio Benso, duca della Verdura. Soldi che erano stati utilizzati per sostenere il corso dei titoli azionari della Navigazione Generale, intrapresa commerciale reputata fulcro del più importante gruppo di pressione palermitano, della quale lo stesso Benso era azionista e nel quale aveva interessi anche l’onorevole Raffaele Palizzolo, deputato palermitano proveniente dal partito regionista, chiacchierato per le sue connivenze mafiose. Quest’ultimo verrà ritenuto il mandante dell’omicidio.

Il commendatore Notarbartolo tornava da Mendolilla, dove aveva un fondo ed era accompagnato dal suo cameriere Gioacchino Campisi. Veniva accoppato poco prima del suo viaggio nell’Urbe, volto a denunciare alle massime autorità, con tanto di dossier riservato al seguito, il malaffare serpeggiante tra gli alti vertici del Banco di Sicilia. Il 27 gennaio 1903 la Corte di cassazione annullerà la condanna, a 30 anni di carcere, nei confronti di Palizzolo e di Fontana, per vizio di forma: un testimone, nel riprendere la propria deposizione, aveva mancato di ripetere la formula di rito, “lo giuro”. La Suprema corte rimetteva quindi gli atti alla Corte d’assise di Firenze, ma il 5 settembre 1903, gli imputati verranno assolti per insufficienza di prove. E il delitto Notarbartolo rimarrà, di fatto, un giallo senza colpevoli assicurati alla giustizia.

Tutta la vicenda, compreso il grande impegno profuso dal figlio del marchese per far emergere la verità, il tenente della regia Marina militare Leopoldo Notarbartolo, verrà raccontata nella serie televisiva, per Rete 2, in tre puntate, dal 9 all'11 maggio 1979, con regia di Alberto Negrin.