1° ottobre

Oggi, ma nel 1967, ad Arluno, in provincia di Milano, veniva identificato dai carabinieri, mediante l’etichetta del vestito di fustagno verde indossato dalla vittima, il corpo mutilato del muratore Armando Mausberger, di 48 anni, che la notte precedente, 30 settembre, aveva ucciso la moglie Maria Luisa Mereghetti, di 42 anni, sgozzandola con un coltello da cucina, poi l’aveva fatta finita sdraiandosi sui binari del treno Milano-Torino che, transitando, lo aveva decapitato e gli aveva reciso gli arti. Mausberger, originario di Limbiate, in quel di Monza, disoccupato da un anno, ma anche invalido del lavoro per via della mutilazione ad un occhio che comunque gli assicurava una pensione, era sposato da 14 anni e non aveva figli.
Era astemio e beveva caffè o aranciata anche quando si recava all’osteria. Prima di squarciare la carotide alla consorte, operaia in una fabbrica di Ossona, a tre chilometri di distanza da casa, aveva scritto col gesso sul muro della cucina della modesta abitazione al civico numero 20 di via Papa Giovanni XXIII che gli fosse impossibile continuare a vivere insieme alla sua donna perché non andavano d’accordo da 11 anni. Lui imputava a lei la gran colpa di non avere progenie. E lei aveva continue altre recriminazioni da sottolineargli. Stando al resoconto dei vicini, i due erano soliti bisticciare da tempo e vivevano in stato di separazione di fatto voluta da lei.
Il corpo straziato di lui era stato rinvenuto sulla massicciata, in località Villastanza, al chilometro 6,280, dai cantonieri alle prese con la sistemazione del tratto di strada ferrata compreso tra gli scali di Vanzago e di Parabiago. L’assassino-suicida (nella foto, particolare, la notizia sul quotidiano torinese “La Stampa”, dell’1 ottobre 1967), prima di compiere l’ultimo gesto aveva anche redatto testamento. Nel lascito aveva destinato i suoi averi e delle piccola somme di danaro in beneficenza. Precisamente all’ospedale di Magenta, col quale tempo addietro un suo parente aveva contratto un debito, poi all’asilo del centro a 22 chilometri dal capoluogo lombardo, quindi al brefotrofio milanese, nel quale era stato allevato. Aveva anche dato disposizione affinché la salma venisse cremata e le ceneri disperse nel fiume Olona.