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17 marzo

Oggi, ma nel 1986, da Narzole, in provincia di Cuneo, scoppiava lo scandalo del vino adulterato al metanolo, che era stato imbottigliato e commercializzato dalla ditta Vincenzo Odore di Incisa Scapaccino, in quel di Asti, ma uscito dall'azienda di Giovanni Ciravegna, classe 1929, gestita con il figlio Daniele.

Il metanolo, naturalmente prodotto dalla fermentazione del vino, stando ai calcoli di Giovanni Ciravegna (nella foto, particolare), soprannominato cavalier "dudes e mes", ovvero dodici e mezzo, per la spiccata capacità di aggiustare qualunque vino alla gradazione necessaria, aveva sostituito lo zucchero, che era meno economico, in quanto sgravato dall'imposta di fabbricazione, come elemento di base proprio per far alzare la gradazione alcolica del prodotto definitivo. Quantità esigue di alcol metilico, ovvero il metanolo, erano considerate normali nel vino, nella misura compresa tra 0,6 e 0,15 millimetri su 100 di alcol etilico complessivo. Ma una dose eccessiva poteva essere letale. E così era accaduto.

Dopo i primi tre casi, che avevano fatto scattare l'allarme, si conteranno complessivamente 19 morti, anche se alcuni calcoli li faranno salire a 23, e 10 invalidi, soprattutto per problemi di perdita della vista. Industrialmente il metanolo veniva creato distillando a secco il legno. Serviva anche come solvente per le vernici, per aggiustare la lacca e veniva persino spruzzato sulle merendine come conservante. Ed era di uso massiccio in quel periodo. Ingerito in grandi quantità, quando si scampava alla morte, agiva sul sistema nervoso centrale, distruggendo il nervo ottico. Ma tra gli effetti collaterali vi erano anche la sordità e la paralisi. Era stato detassato in Italia, col Decreto legge numero 232 del 15 giugno 1984, per adeguarsi alla direttiva della Comunità europea, e quel particolare ne aveva ridotto il costo a dieci volte meno dell’alcol etilico.

L'allarme vino al metanolo era scattato nell'ospedale Niguarda di Milano, il 16 marzo 1986, quando era deceduto il ferroviere Benito Casetto, che aveva bevuto il barbera avvelenato, etichettato dalla ditta Odore di Incisa Scapaccino, acquistato in fiasche da due litri. Le forze dell'ordine ritireranno le bottiglie dalla vendita, ma la figuraccia sarà di livello internazionale con conseguenze pesanti sull'economia italiana. Il 27 aprile 1986 i viticoltori sfileranno, indignati, con i gonfaloni delle cittadine del vino, per le vie di Alba. E in quella manifestazione Eugenio Pollo, della Coldiretti di Alessandria, verrà stroncato da un infarto mentre teneva il suo discorso sul palco. Le ditte ufficialmente inquisite risulteranno, oltre alle due già menzionate,  Fusco Antonio di Manduria, in provincia di Taranto; Giovannini Aldo, di Quincinetto, in quel di Torino; Baroncini Angelo, di Solarolo, in quel di Ravenna; Industrie enologiche Bernardi Primo, di Mezzano Inferiore, in quel di Parma; Piancastelli Roberto, di Riolo Terme, in provincia di Ravenna. Ne seguirà un periodo di grande confusione ed apprensione per una vicenda destinata a segnare la storia recente del Belpaese a tavola. Giovanni e Daniele Ciravegna verranno condannati, come confermerà la Corte di Cassazione il 17 luglio 1994, a 14 e 11 anni di carcere, rispetto ai 16 e 13 comminati dalla sentenza di primo grado. Oltre ai parenti delle vittime, alla Camera di commercio di Cuneo, il Comune di Narzole si costituirà parte civile, a sottolineare la gravità del danno d'immagine subito.