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17 SETTEMBRE

Oggi, ma nel 1992, a Santa Flavia, in provincia di Palermo, Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella e Antonino Gioè, sicari di Cosa nostra, su ordine di Totò Riina, capo della cupola, uccidevano Ignazio Salvo, di Salemi, in provincia di Trapani, del 1931, davanti al cancello di casa, mentre cercava di rientrare.

Verosimilmente l’omicidio era scattato perché la vittima non aveva rispettato l’accordo secondo il quale avrebbe provveduto a far annullare, in Corte di cassazione, la sentenza definitiva, del 30 gennaio 1992, del cosiddetto maxi processo. Ovvero quello al vertice mafioso, iniziato, in primo grado, il 10 febbraio 1986, a Palermo. Maxi processo nel quale anche lo stesso Ignazio Salvo, in appello, era stato condannato a 3 anni di reclusione. Alla vittima toccava la stessa sorte di Salvatore “Salvo” Lima, la cui soppressione (nella foto, particolare, il cadavere sulla scena dell’esecuzione) aveva destato enorme scalpore, non solo nella cronaca nera del Belpaese.

Lima, palermitano, classe 1928, europarlamentare del Partito popolare europeo alla terza legislatura, già sindaco della sua città di origine, ex sottosegretario di Stato alle finanze e poi al bilancio, con un trascorso da influente deputato democristiano per tre mandati, era stato fatto fuori il 12 marzo precedente, nel capoluogo siciliano, sempre per non aver ribaltato la decisione della Suprema corte sul maxi processo.

Ignazio Salvo, imprenditore con una potente società aggiudicatrice dell’appalto della ghiotta riscossione dei tributi nell’area palermitana, proprietario del maestoso hotel Zagarella piazzato sulla costa di Santa Flavia, titolare di un’imponente azienda agricola atta a drenare contributi comunitari sulla coltivazione di frutta e ortaggi, esponente locale di spicco scudocrociato, vice capo della cosca mafiosa di Salemi, era anche il cugino di Antonino “Nino” Salvo. Quest'ultimo era deceduto in una clinica svizzera di Bellinzona, per un tumore, il 19 gennaio 1986, ed era un altro elemento di spicco della famiglia mafiosa di Salemi.

I cugini Salvo, come erano menzionati dai più, entrambi fatti arrestare, il 12 novembre 1984, con l’imputazione di associazione mafiosa, dal giudice Giovanni Falcone, basandosi sulle dichiarazioni del pentito Tommaso Buscetta, erano ritenuti avere stretti rapporti politici con il 7 volte presidente del consiglio dei ministri Giulio Andreotti, notabile DC, in carica fino al 28 giugno di quel 1992. Secondo gli addetti ai lavori, l’agguato mortale ai danni di Ignazio Salvo sarebbe stato presumibilmente anche un chiaro avvertimento rivolto al “Divo”.