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18 APRILE

Oggi, ma nel 1850, a Torino, al rondò della forca, in corso Regina Margherita, venivano impiccati tre componenti della banda criminale detta “dei vinattieri”, capeggiata da Pietro Artusio. Quest’ultimo, dopo una serie di bravate, per ottenere lo sconto di pena aveva iniziato a collaborare con la giustizia del regno di Sardegna facendo catturare i suoi sodali.

I giustiziati erano: Giovanni Domenico Guercio, merciaio ambulante di 28 anni; Michele Violino, fornaciaio di 29; Lorenzo Magone, muratore di 30. Erano stati arrestati nell’ottobre 1846, proprio a Torino. Il processo era cominciato il 3 dicembre 1849 e s’era concluso il 22 febbraio di quel 1850, dopo 36 udienze.

Alcuni dei detenuti erano spirati in prigione, sfiniti dalle sevizie. Complessivamente erano stati 17 gli imputati. Pietro, Vincenzo e Giovanni Artusio, Giovanni Domenico Guercio, Michele Violino, Lorenzo Magone, Luigi Vezza, Maurizio Spinelli, costituivano lo zoccolo duro della congrega. I complici occasionali erano: Michele Vico, Pietro Parini, Pietro Scannavino, Marco Cravero, Giorgio Conterno, Francesco Carena, Giacomo Dogliani. Infine erano coinvolti come collaboratori, senza aver partecipato alle aggressioni, Michele Remondino e Giovanni Venturino.

Spinelli era stato l'unico assolto. Vincenzo Artusio era stato simbolicamente freddato da un carabiniere, proprio il giorno della sentenza, il 22 febbraio 1850, fuori dal tribunale, mentre tentava di fuggire approfittando del trambusto. Seguendo gli studi di frenologia di Cesare Lombroso, il padre della moderna criminologia, il calco in gesso della sua testa (nella foto, particolare) verrà conservato nel museo di anatomia umana “Luigi Rolando” dell’università torinese, per essere studiato.

Alcuni banditi erano stati spediti ai lavori forzati. I condannati al patibolo, anche con funzione dimostrativa, erano solo i tre già nominati. A sovrintendere all’esecuzione della pena capitale e a mantenere quieto il folto pubblico accorso erano i funzionari della giustizia amministrata per conto del sovrano sabaudo Carlo Alberto: Pietro Pantoni, Michele Savassa, Giorgio Porro. Don Giuseppe Cafasso portava il conforto religioso.

L’organizzazione malavitosa, con base a Vezze d’Alba, in provincia di Cuneo, dal settembre 1845 derubava viaggiatori in carrozza e mercanti sui carretti agendo di sorpresa lungo le strade piemontesi, ma anche in concomitanza con fiere e mercati. In diverse occasioni non aveva esitato a far fuori i malcapitati pur di afferrare il bottino. Così il loro modo di agire senza scrupoli aveva varcato i confini regionali terrorizzando un’ampia fetta del regno.

Nell’elenco dei crimini più efferati figuravano le uccisioni del mercante ambulante Saul Diena, avvenuta il 2 dicembre 1845, a Monteu Roero, e di Vittoria Appendino, prima derubata e violentata da Vincenzo Artusio, a Revigliasco, risalente al 27 giugno 1846. Il 28 giugno 1846, a Pinerolo, avevano assassinato il contadino Gabriele Beltramino, che aveva tentato di resistere alla ruberia. Gaspare Cantù, mercante di bestiame, era stato eliminato, il 16 settembre 1846, a Vigone.

Lo scompiglio seminato dagli Artusio e compari verrà rievocato nel romanzo d’impronta sociale, scritto dal deputato della sinistra storica del collegio di Cuneo Vittorio Bersezio, “La plebe”, che verrà pubblicato dall’editore Favale nel 1867.