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19 Gennaio

Oggi, ma nel 1953, nel Golfo Persico, la petroliera genovese Miriella, del gruppo Supor, acronimo di Società unione petroli orientali, con sede a Roma, comandata da Amilcare Mazzeo, battente bandiera italiana, diveniva un caso internazionale perché riusciva a forzare il blocco inglese e ad andare a caricare ad Abadan, città della provincia del Khūzestān, nell'Iran sud-occidentale, 5mila tonnellate di greggio, fornito dalla Compagnia petroliera iraniana contro la cessione di tessili e di macchinari agricoli. Il prezioso liquido nero stipato a bordo sarebbe stato destinato alla Polonia. La petroliera entrerà, il 13 febbraio successivo, a 3 miglia al largo di Marghera di Venezia, zona franca, dopo aver percorso novemila miglia, alla media di otto nodi e mezzo l’ora, in 48 giorni di navigazione complessiva, e il 14 febbraio, dopo essere entrata in porto, trainata dal rimorchiatore Titanus, e dopo essere stata ormeggiata nella banchina Azoto, scaricherà il suo tesoro (nella foto, le manovre nel particolare del filmato proveniente dall'archivio storico dell'Istituto Luce di Roma, tratto dal cinegiornale Luce del 18 febbraio 1953, riproposto anche sulla Settimana Incom numero 00906), alla presenza di Francesco Mortillaro, consigliere delegato della società armatrice che aveva tra i maggiori esponenti il duca Mario Badoglio -figlio del maresciallo d'Italia Pietro, che aveva, tra l'altro, condotto l'Italia all'armistizio dell'8 settembre 1943- morto il 10 febbraio di quel 1953, a San Vito al Tagliamento, per un attacco di angina pectoris. La Miriella verrà tenuta sotto osservazione, alla dogana, per 15 giorni, col rischio del sequestro del carico, come richiesto dalle autorità petrolifere inglesi. Il fatto della Miriella aveva un precedente nelle peripezie affrontate dalla nave cisterna Rose Mary, battente bandiera dell’Honduras, che aveva imbarcato mille tonnellate di petrolio grezzo nello scalo persiano di Bandar Mashur. Oro nero che sarebbe stato venduto alla Compagnia ente petroli Italia-Medio oriente, che lo aveva trasportato nel Belpaese per farlo raffinare e metterlo poi a disposizione della società petrolifera Bubenberg, per la consegna alla Svizzera, a Berna. La Rose Mary, la cui vicenda aveva avuto risalto internazionale, era una petroliera di 632 tonnellate, costruita negli Stati uniti d'America nel 1944, ed era di proprietà della Compania de Navigacion Teresita, con sede a Panama, benché, come già anticipato, battente bandiera dell’Honduras, essendo iscritta nel porto di Puerto Cortes. Fino al 15 aprile precedente la Rose Mary era gestita dalla storica società dei fratelli Guido, Giuseppe e Alberto Cosulich di Genova e aveva compiuto viaggi con carico di petrolio grezzo con equipaggio italiano. Tutto questo malcontento si era, in estrema sintesi, verificato perché, attraverso la Anglo Iranian oil company, i britannici avevano il monopolio su estrazione, trasporto e raffinazione del petrolio iraniano. La compagnia pagava diritti di produzione, estremamente modesti, al governo dello Scià di Persia Mohammad Reza Pahlavi, che era stato posto sul trono dell'Iran, dalla Gran Bretagna, il 16 settembre 1941. L'Iran, che versava in una situazione di estrema povertà, con in testa i nazionalisti, domandava una fetta più ampia dei guadagni della Aioc. Così l'Iran, col primo ministro Mohammad Mossadeq, era passato a nazionalizzare i pozzi di estrazione e il governo di Londra aveva reagito causando quella che passerà alla storia come crisi di Abadan, destinata a durare dal 1951 al 1954.

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