Un'immagine in bianco e nero di Silvano Larini

TODAY

20 aprile

Oggi, ma nel 1999, a Roma, la Corte di cassazione condannava, in via definitiva, per 8 miliardi di lire di tangenti, legate ai lavori di ammodernamento della metropolitana milanese, Bettino Craxi, segretario nazionale del Partito socialista italiano, nonché notabile della città ambrosiana.

Craxi, stando alla ricostruzione dei fatti, riceveva le buste con i soldi nel suo iconico ufficio in piazza Duomo 19. Già condannato per questo reato a 8 anni e 3 mesi, era stato graziato dalla Cassazione che aveva bocciato quel processo d'appello. Poi era stato ricondannato, dopo meno di tre mesi, a 4 anni e mezzo. La sentenza di terzo grado metteva la parola fine su una delle vicende giudiziarie simbolo di Mani pulite. La seconda sezione penale della Cassazione confermava la sentenza emessa, il 24 luglio precedente, dalla quarta Corte d'appello di Milano, a 4 anni e 6 mesi di reclusione. I reati erano quelli di corruzione e finanziamento illecito ai partiti. Per Craxi, ma anche per il capoluogo lombardo, il processo aveva assunto un valore particolarmente simbolico. E la risonanza mediatica era enorme. Perché per la prima volta la Cassazione, con la sentenza del 16 aprile 1998, aveva bocciato il pool respingendo l'impostazione accusatoria secondo la quale Craxi, da segretario del Psi, non poteva non essere a conoscenza del sistema delle tangenti. Almeno stando alle accuse del faccendiere e prestanome Silvano Larini (nella foto), sodale di vecchia data di Craxi, collettore di mazzette.

Ma Larini non si era presentato in aula a ripetere le accuse, così, la riforma dell' articolo 513, con il nuovo testo che prevedeva proprio la necessità di ripetere in aula le accuse, pena l'irrilevanza ai fini del giudizio, aveva portato la Cassazione a bocciare la prima sentenza d'appello. Il processo era stato ricelebrato a stretto giro e a Craxi era stata dimezzata la condanna. Condanna che si aggiungeva a quella a cinque anni e mezzo già meritata per la vicenda Eni-Sai. Il 15 ottobre 1999 i legali di Craxi presenteranno ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo contro la condanna per finanziamento illecito, sostenendo che la Procura di Milano abbia abusato dei propri poteri. Il 31 ottobre 2001 la Corte respingerà il ricorso, sostenendo che l'iter giudiziario abbia seguito i canoni del giusto processo. Tangentopoli era cominciata, il 17 febbraio 1992, quando il pubblico ministero Antonio Di Pietro aveva chiesto e ottenuto dal giudice per le indagini preliminari Italo Ghitti l'ordine di cattura per l'ingegner Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio e componente di primo piano del Psi milanese. Chiesa era stato colto in flagranza mentre intascava la tangente dall'imprenditore monzese Luca Magni che, stanco di pagare, lo aveva denunciato.