21 GIUGNO

Oggi, ma nel 1978, a Roma, al Policlinico “Umberto I”, il collettivo delle femministe occupava il reparto monstre della clinica ostetrica, chiuso ed inutilizzato da due anni, per far fronte all’aborto consapevole, avversando la neonata legge 194, promulgata il 22 maggio precedente. Si attivava il metodo Karman, ovvero l’aspirazione, procedura molto meno traumatica per l’utero, rispetto al raschiamento, praticato dai “cucchiai d’oro”, ovvero i professionisti dell’aborto clandestino, che agivano in cliniche private a caro prezzo.
Il coordinamento era affidato all’attivista Graziella Bastelli, con l’ausilio del medico Enzo Majorana. Con tale mossa il collettivo rivendicava la libertà di scelta e tentava di annullare il mercato sotterraneo degli “abortifici”. La nascita del “repartino”, affondava le radici nel 1973 e non riguardava solo le manifestanti (nella foto, particolare, in un iconico scatto di Tano D’Amico).
Precedentemente alla normativa proposta dall’esponente socialista Vincenzo Balsamo e voluta anche dallo schieramento composto anche da comunisti, socialisti democratici, liberali e repubblicani, prima della firma del presidente della Repubblica Giovanni Leone, tutto ciò che ruotasse intorno all’interruzione di gravidanza era considerato reato. Causare l’aborto di una donna non consenziente portava dai 7 ai 12 anni di carcere. Provocare quello di una consenziente era punito con la reclusione da 2 a 5 anni, sia per l’esecutore che per la donna stessa. Procurarsi l’aborto da sola equivaleva ad una pena da 1 a 4 anni. Istigare all’aborto o fornire i mezzi necessari per porlo in essere era punito con la pena dai 6 mesi ai 2 anni.
Dopo l’occupazione, il collettivo di femministe allargava il proprio ambito d ‘azione politica e sociale dall’interruzione di gravidanza a quello più ampio della salute della donna, come i parti e le cure ginecologiche. L’iniziativa verrà interrotta dagli agenti di Polizia il 25 settembre successivo.