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25 APRILE

Oggi, ma nel 1969, a Milano, alle 19, in viale Certosa, nel padiglione Fiat, all’interno della Fiera campionaria, esplodeva la prima delle tre bombe neofasciste di quel 25 aprile. Data simbolica, per via delle celebrazioni dell’anniversario della liberazione dal nazifascismo, avvenuta il 25 aprile 1945. Lo scoppio provocava 20 feriti, per lo più uomini rimasti a vedere la proiezione di diapositive, perché l’orario di apertura al pubblico era già terminato. Le altre due deflagrazioni si verificavano nell’ufficio cambi della Banca nazionale delle comunicazioni, all’interno della stazione ferroviaria centrale. I responsabili verranno individuati nei militanti dell’organizzazione extraparlamentare di estrema destra Ordine nuovo e quali mandanti saranno riconosciuti Franco Giorgio Freda e Giovanni Ventura (nella foto, particolare, Freda a sinistra di Ventura), che per questi fatti e per le bombe ai treni dell’estate successiva verranno condannati in via definitiva. Entrambi gli ordinovisti della cellula veneta verranno coinvolti nel tortuoso iter giudiziario legato allo scoppio dell’ordigno all’interno della Banca nazionale del lavoro, del 12 dicembre successivo, che causerà 17 morti.

Inizialmente gli attacchi dinamitardi verranno ricondotti, dal commissario di Polizia Luigi Calabresi, vice dirigente dell’ufficio politico della Questura meneghina, alla galassia anarchica, seguendo la cosiddetta pista rossa di Piazza Fontana. Calabresi verrà assassinato il 17 maggio 1972, da Ovidio Bompressi, Leonardo Marino, come esecutori materiali, su disposizione di Giorgio Pietrostefani e Adriano Prosperi, quali mandanti, per conto dell’organizzazione extraparlamentare di estrema sinistra Lotta continua.

La non semplice vicenda delle bombe del 25 aprile 1969 verrà ricostruita dal giornalista Paolo Morando, nel volume “Prima di Piazza Fontana. La prova generale”, che verrà pubblicato dalla casa editrice Laterza, di Roma-Bari, nel 2019. Gli studi approfondiranno la versione degli atti violenti compiuti da apparati deviati dei servizi segreti nazionali, in complicità con blocchi governativi, spostando sempre più l’attenzione verso quella che verrà etichettata come “strage di Stato”, da collocarsi all’interno della strategia della tensione. Nei 12 mesi di quel 1969 si registreranno, nel Belpaese, 145 attentati dinamitardi. Dei quali le crescenti tensioni esplosive in Alto Adige, causate dai separatisti, saranno solo una parte minima, a differenza di quanto creduto inizialmente dagli esponenti delle forze dell’ordine e dai magistrati. La Fiera campionaria milanese era per certi versi un luogo simbolico. Era, infatti, già stata colpita, nel 1928, il 12 aprile, in concomitanza della visita del sovrano sabaudo Vittorio Emanuele III all’esposizione. In quell’occasione le vittime erano state 20 e 40 i feriti. Come raccontato da Carlo Giacchin, nel saggio “Attentato alla fiera. Milano 1928”, edito da Mursia, del capoluogo lombardo, nel 2009. L’episodio terroristico del ’28 verrà ricollegato a fascisti dissidenti, ma sempre solo dopo aver scomodato, per la presunta responsabilità, la flangia dei libertari individualisti attivi nella città ambrosiana.