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27 gennaio

Oggi, ma nel 1946, a Borzano, frazione di Albinea, in provincia di Reggio Emilia, il partigiano cattolico e giornalista anticomunista Giorgio Morelli (nella foto, a sinistra) veniva ferito in un agguato, ad opera di ignoti, che resteranno tali, mentre rientrava nella sua abitazione. Uno dei proiettili esplosi gli perforava un polmone.

Il tentato omicidio al quale era riuscito a sopravvivere gli provocherà postumi ai quali poi si aggiungerà la tubercolosi. Morirà, il 9 agosto 1947, a 21 anni, nel sanatorio di Arco, in quel di Trento, dove stava tentando di curarsi, accudito dalla sorella.

Classe 1926, di Albinea, nome di battaglia "Solitario", nella primavera '44 era entrato nelle Brigate Garibaldi, poi nelle Fiamme Verdi-Corpo volontario della libertà e quindi nella 284ª Brigata "Italo", d'ispirazione cattolica, fondata da don Domenico Orlandini, che era attiva tra Reggio Emilia e Modena.

Il suo perenne tentativo di conciliare la componente cattolica con quella comunista era stato un tratto distintivo del suo operato, ma anche una delle ragioni che lo avevano condotto alla morte. Spettatore dei massacri organizzati nella sua zona dai rossi, con la sua testata, bollata come "nemico del popolo" dal Pci, aveva cercato di combattere quelle che la sua coscienza reputava essere nefandezze. Nel consesso della Brigata "Italo" aveva fondato, con Eugenio Corezzola detto "Bellis", il giornale clandestino "La Penna", del quale erano usciti 4 numeri, erede dei primi "Fogli Tricolori". Il 23 aprile 1945 Morelli era stato il primo partigiano ad entrare nella Reggio Emilia liberata dai nazifascisti sventolando la bandiera verde, bianca e rossa. Per questo episodio Reggio Emilia rimarrà legata alla figura di Morelli che, dopo la dipartita prematura, verrà elevata a simbolo della rinascita cittadina dopo l'oppressione. In seguito alla liberazione - ancora piegato moralmente dall'uccisione dell'amico Mario Simonazzi, il comandante "Azor", come lui di Albinea, del 1920, cattolico, componente di pregio delle Squadre d'azione patriottica e delle Fiamme Verdi, che era stato ucciso con un colpo alla nuca e le mani legate, il 23 marzo 1945, da altri partigiani, ma legati al Pci - sempre con Corezzola, aveva fondato il periodico "La Nuova Penna", del quale erano usciti 25 numeri.

I suoi articoli e le inchieste sulle uccisioni sponsorizzate dal Partito comunista nel comprensorio di Reggio Emilia avevano attirato le ire dei vertici del Pci della zona, con a capo Didimo Ferrari, alias "Eros", e per questo Morelli era anche stato espulso dall'Associazione nazionale partigiani. Soprattutto continuava a indagare sull'omicidio dell'amico "Azor", essendo sempre più certo che fosse stato fatto fuori dai comunisti per il suo impegno da cattolico. E si era anche convinto che gli uomini che avevano cercato di zittirlo col piombo fossero gli stessi che avessero eliminato Simonazzi, mandati dal Pci di Reggio Emilia.

Lo scopo del settimanale "La Nuova Penna", che era autofinanziato, era proprio quello di gettare luce sulle mattanze indiscriminate e insabbiate commesse all’indomani della liberazione. Morelli, da cronista, ficcava il naso sui retroscena dei delitti politici commessi dai comunisti reggiani e rimasti impuniti. Subito dopo la fine della guerra, infatti, le esecuzioni sommarie, specialmente nel cosiddetto triangolo rosso, avvenivano all’ordine del giorno. Gruppi di partigiani legati al Pci prelevavano chiunque fosse sospettato di essere stato connivente col passato regime, inclusi i preti tacciati di anticomunismo, e li sbattevano al muro. Morelli era stato costretto a cambiare varie tipografie per ovviare ai sabotaggi dei comunisti. Alla fine, per permettere alla sua creatura di carta di diffondere i suoi scritti, si era ridotto ad utilizzare i macchinari del convento dei Padri benedettini di Parma, ma non aveva mollato.