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27 maggio

Oggi, ma nel 1840, a Nizza, moriva consumato dalla tubercolosi Niccolò Paganini, considerato il miglior violinista dell'Ottocento, tra i più importanti di tutti i tempi, l'esponente maggiore della musica romantica. La salma non poteva essere seppellita in terra consacrata poiché vi era stato posto il divieto vescovile a causa della fama di eretico che l'artista si era trascinato dietro. Per questo motivo il corpo verrà imbalsamato seguendo il metodo della tanatoprassi ideata da Jean-Nicolas Gannal e conservato per due mesi nello scantinato della casa nizzarda del militare torinese Cesare Bonelli dove era morto. Poi verrà sepolto nel giardino privato della villa Paganini in Val Polcevera, nei dintorni della città della lanterna, e, nel 1845, depositato nella sagrestia della Pieve di Gaione, frazione di Parma.

Nel 1853 verrà spostato nella cripta del cimitero di Gaione. Nel 1876, con l'annullamento della sentenza del divieto di sepoltura in terra consacrata, i resti di Paganini verranno traslati nel cimitero monumentale della Villetta (nella foto, particolare di una cartolina di fine '800, stampata dalla libreria parmense Pezzani, raffigurante proprio la tomba definitiva di Paganini, posta nel quadrante sud-est, col mezzobusto del maestro scolpito dal genovese Santo Varni), sempre nel capoluogo emiliano, secondo la richiesta del figlio Achille. Paganini, genovese, classe 1782, oltre al suo virtuosismo aveva saputo alimentare uno stile eccentrico, un alone di mistero intorno alla sua arte e alla sua vita.

Dall'ipotetico patto col diavolo, verosimilmente stipulato per ottenere la sua bravura sovrumana quale necessario preludio alla fama internazionale alla vulgata del "Paganini non ripete", detto sorto in occasione del suo "no", soprattutto per problemi di tagli alla mano sinistra, al bis chiesto dal sovrano sabaudo Carlo Felice in occasione dell'esibizione a Torino, al teatro Carignano, nel febbraio 1818. Paganini era smunto, sdentato, con gli occhi incavati, a causa dei grandi quantitativi di mercurio assunti per tentare di curare la sifilide, con un pronunciato naso aquilino. Portava i capelli lunghi e spettinati, aveva piedi sproporzionati rispetto alla sua statura, mani dalle dita lunghissime, ma perennemente sanguinanti per via del pizzicato, era rigorosamente vestito di nero e, a detta dei suoi contemporanei, quando si esibiva sembrava uno scheletro in frac.

L'aspetto era dato dalla sindrome di Marfan, allora ignota, della quale era affetto. Ma una volta agguantato il suo strumento non aveva rivali. Si esercitava ed allenava le mani fino allo stremo delle forze. Era dotato di una tecnica straordinaria e le sue composizioni erano, per gli addetti ai lavori, ineseguibili da un altro violinista. Paradossalmente i suoi handicap fisici gli consentivano le estreme escursioni sulla tastiera del violino. Era velocissimo, inseriva salti melodici di diverse ottave alternati a passi con accordi che coprivano tutte e quattro le corde. Ogni tecnica era portata all'estremo e le sue esecuzioni finivano quasi sempre con la rottura delle corde e la conclusione del concerto sull'unica superstite, quella di sol. Sulla quale dava prova di sapersi destreggiare ugualmente alla perfezione. Eseguiva anche misteriosi e spettrali armonici artificiali. Tra le varie leggende circolanti sul suo conto, c'era quella, oltremodo sinistra, secondo la quale sia stato un serial killer che avesse regolarmente ricavato le corde del violino dalle interiora delle sue vittime e per questo lo strumento fosse in grado di produrre suoni così sbalorditivi.