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27 MAGGIO

Oggi, ma nel 1969, a Orgosolo, in provincia di Nuoro, a 600 metri sul livello del mare, nel borgo militare di Pratobello, veniva affisso sui muri, da parte della la divisione fanteria “Trieste”, inquadrata nel VI corpo d’armata, dell’esercito italiano, l’avviso rivolto ai pastori del circondario, di trasferire altrove il bestiame per due mesi. Quell’area, appartenente al demanio comunale, sarebbe stata, infatti, adibita a poligono di tiro per le esercitazioni dei soldati. E per ospitare le famiglie di questi. Il 9 giugno successivo 3500 orgolesi si mobiliteranno e il 18 sarà indetta la riunione, intorno a “Sa Untana de Patteri”, la storica fonte d’acqua nel centro cittadino, nella quale verrà decretata la protesta non violenta per tentare di scalzare gli uomini in grigio-verde.

Tra le voci dei resistenti si alzerà il grido: «Attenzione a quello che fate, perché qui non siamo a Battipaglia». L’avvertimento era rivolto contro lo Stato percepito quale usurpatore. Quanto avveniva era inserito a pieno titolo nel clima socio-culturale della contestazione, non solo studentesca, sessantottina. In quel lembo insulare il ’68 aveva portato anche alla destituzione della giunta comunale e all’insediamento dell’assemblea popolare, pomposamente denominata “Repubblica di Orgosolo”.

Lo sgombero degli ovini, 40mila capi, prevedeva una modalità di risarcimento giudicata inaccettabile dai pecorai: 30 lire al giorno per ciascun animale, quando il mangime, che per quel lasso di tempo avrebbe dovuto sostituire il foraggio, costava 75 lire al chilogrammo. Il 19 maggio, giorno stabilito quale inizio delle prove di tiro, i militari lanceranno 3 bombe a mano contro il blocco dei cittadini verso l’autocolonna dei mezzi dell’esercito. Ma non ci saranno vittime.

La rivolta pacifica anti militarista (nella foto, particolare, un momento del confronto) in favore della conservazione dei tradizionali stazzi riceveva anche l’appoggio, benché a distanza, di Emilio Lussu, icona politica e bellica vivente dell’inflessibile tempra sarda. Il presidio delle forze armate nazionali verrà smantellato lasciando spazio agli armenti. In quel contesto, il gruppo Dioniso, fondato da Giancarlo Celli, collettivo di anarchici milanesi, realizzerà il primo dei 200 murales che caratterizzeranno il piccolo centro barbaricino.