28 ottobre

Oggi, ma nel 1951, a Busto Arsizio, in provincia di Varese, Adele Nimmo nella cantina dell’abitazione che stava per lasciare per trasferirsi a Roma col marito Adelchi Nimmo, dipendente della compagnia aerea TWA di stanza nello scalo che sarebbe diventato l’aeroporto di Malpensa, ritrovava dietro un vecchio albero di Natale il corpo senza vita della cameriera Silvia Da Pont, di 21 anni, originaria di Cesiomaggiore, in quel di Belluno, scomparsa 51 giorni prima. Era morta di fame e di sete (nella foto, particolare, la notizia riportata sul quotidiano torinese “Stampa sera”, del 14 novembre 1951), dopo essere stata stordita con l’etere, segregata, tenuta sotto sedativi, malnutrita, celata in un baule, da Carlo Candiani, industriale in pensione, di 72 anni, due volte vedovo, che abitava al piano di sopra della villa che ospitava i Nimmo, nonché proprietario dell’immobile. Candiani era attratto morbosamente dalla vittima. L’11 novembre di quel 1951 confesserà l’omicidio, presumibilmente messo a segno in sodalizio con il socio in affari Vittorio Tosi, che poi sparirà. Il 10 novembre 1954 l’attempato assassino verrà condannato, in via definitiva, dopo il passaggio in Corte di cassazione, a 13 anni di reclusione. Ma morirà anzitempo, l’8 agosto 1957, a 76 anni, nel penitenziario “San Francesco” di Parma. Il caso destava enorme clamore e rimarrà uno dei casi nella storia della cronaca nera del Belpaese e verrà raccontato anche dal giornalista del milanese “Corriere della Sera” Dino Buzzati come “Il delitto del cavaliere Imbriani”, che sarà pubblicato postumo, nel 2002, nel volume I della raccolta di pezzi di nera scritti tra il 1929 e il 1971 per il giornale di via Solferino. Ma il fatto di sangue verrà ricostruito anche da Roberto De Nart nel libro “Il delitto di Busto Arsizio”, che sarà edito da Bellunopress Editore nel 2020.
