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9 dicembre

9 Dicembre 2024

Oggi, ma nel 1861, a Tagliacozzo, in provincia dell'Aquila, scoppiava il dibattito, che durerà per decenni, sulla vera natura di Josè Borjes, fucilato il giorno precedente, 8 dicembre. Generale catalano al servizio di Francesco II di Borbone, era stato catturato a Sante Marie nella cascina Mastroddi di Valle di Luppa e giustiziato come fosse stato un qualsiasi brigante. Il comandante aveva avuto l’arduo e preciso scopo di unificare le bande ribelli presenti nel meridione del Belpaese per tentare di riconquistare il Regno delle due Sicilie e di riconsegnare il trono al re “Franceschiello”.

L’indignazione travalicherà i confini italici e toccherà punte altissime, coinvolgendo pure grandi intellettuali europei come lo scrittore transalpino Victor Hugo che tuonerà contro il sovrano sabaudo Vittorio Emanuele II e le sue rozze maniere di contenere l'ordine pubblico. Lentamente, molto lentamente, Borjes (nella foto, particolare, il busto in pietra bianca eretto a Tagliacozzo in sua memoria proprio nel luogo della scarica di piombo letale) e il suo controverso operato verranno rivalutati.

Conseguentemente la sua figura verrà riconsiderata e associata a quella di un patriota e non più di un bandito. In estrema sintesi verrà reputato dagli addetti ai lavori come una sorta di Giuseppe Garibaldi al contrario. “Don Josè”, come pure veniva chiamato dai legittimisti, sarebbe stato passato per le armi anche per ragioni di bieco interesse economico, avendo con il suo entourage un vero tesoretto. Verosimilmente, infatti, aveva tentato la resa consegnando la sua sciabola d’ordinanza al maggiore Enrico Franchini, comandante del primo battaglione bersaglieri attivo nel Mezzogiorno per la repressione delle insurrezioni anti unitarie, incaricato dell’arresto.

Quest'ultimo, tuttavia, non aveva voluto accettare il gesto pacificatore e aveva indicato la pena capitale da eseguire alla svelta e senza indugio. Il malcapitato iberico era stato evidenziato, anche all'opinione pubblica, quale reo di cospirazione contro il regio esercito tricolore e pure come colpevole di aver patteggiato con il fuggiasco Carmine Crocco, detto “Donatelli”, tra i più temuti insorgenti del comprensorio.

Di più, l’ufficiale piemontese proveniente da Alessandria verrà insignito della medaglia d’oro al valor militare, massimo riconoscimento previsto ancor più di valore in quanto concesso eccezionalmente a vivente, proprio per aver scovato - benché grazie ad una soffiata - e preso Borjes e i suoi 17 fedelissimi, alcuni dei quali di origine spagnola.