Immaginate la Hepburn con le labbra a canotto?

21 Ottobre 2019

È ancora nelle sale un piccolo, grazioso film di Danny Boyle, “Yesterday”, la cui trama ruota intorno all’improvvisa sparizione dalla storia del mondo, in seguito a un evento misterioso, di personaggi e cose molto famose ed apprezzate: fra questi, in particolare, la musica dei Beatles.
Il film è divertente e nostalgico e fa spesso leva sull’emotività dello spettatore: ma fra le pieghe della trama, neanche tanto nascosto, viene fuori anche un altro aspetto, una limpida chiave di lettura sulla realtà in cui viviamo. Ed è quando il protagonista, dopo aver deciso di riproporre come suoi gli ormai sconosciuti brani dei “fab four”, finisce in pasto all’industria discografica contemporanea e nel conseguente, totale, appiattimento culturale e visivo. Schiere di consulenti di immagine, marketing manager, ingegneri del sound, esperti pagati per rendere il “prodotto” più commerciale, vendibile, mainstream. Insomma, la creatività da inscatolare dentro un pacchetto riconoscibile, trattata come una qualsiasi merce da sottoporre alle regole del marketing.

Succede. Succede agli esordienti scrittori, musicisti, registi. Il nuovo viene spesso guardato con sospetto, l’arte è un’industria e non ha voglia di rischiare sulle cose troppo originali.

Allora facciamo un gioco. Allarghiamo il campo: cosa succederebbe se le icone di stile e di creatività del passato nascessero oggi e finissero nel frullatore dell’industria del look, sottoposte al gusto (o all’appiattimento del gusto) attuale? 
Prendiamo Audrey Hepburn, per esempio. Se si digitano le parole “icona di stile” su Google, le prime immagini sono sue, nell’elegante “little black dress”, il tubino nero indossato in Colazione da Tiffany. Dopo quasi sessant’anni (il film è del 1961) è questa l’immagine regina che ancora oggi rappresenta l’idea universale di eleganza e classe. Eppure il vestito è piuttosto semplice, accollato. Lei, deliziosamente naive.
Immaginiamo una Audrey nel 2019. Una ritoccatina per risaltare gli zigomi, una gonfiatina alle labbra. Poi quel decolleté… troppo piatto! Ci vorrebbe una misura in più. Anzi, due! E non fa niente se poi i seni stanno su come due mezze noci di cocco attaccate con la colla. Il vestito, poi, deve essere più stretto. Molto più stretto. E più scollato. Ecco. Oddio, anche quel lato B, però… Dai, un paio di protesi per lato e ci siamo.

E Grace Kelly, la ricordate? Principessa di ghiaccio, lo stile era per lei una dichiarazione d’intenti. Oggi? Ammicca di più, bellezza: petto in fuori (oddio, petto… qui ci sarebbe da lavorare) e sguardo da miope affamata. Cosa sono quelle cose sotto il pantalone stile Capri? Ballerine? Le ballerine??? Ma siamo matti? Un plateau tacco 12 ci vuole! Animalier!

Icona indiscussa del bel mondo non solo italiano, a un Gianni Agnelli redivivo non andrebbe molto meglio. Non si faceva certo notare per la tartaruga ben definita, lui. Eppure le donne cadevano ai suoi piedi, grazie alla sua colta ironia e ad un inarrivabile stile nonchalant. Non un solo tatuaggio sul suo corpo e nell’armadio prevalentemente abiti, blazer e camicie button-down azzurre e bianche. Eppure, la rivista Esquire lo definì «l’uomo meglio vestito nella storia del mondo». A dimostrazione che il vero carisma non ha alcun bisogno di ostentazione.

Siamo in preda a un grande malinteso: che il bello coincida esclusivamente con l’esplicito ammiccamento sessuale. Dovremmo renderci conto, invece, che non c’è niente di più sensuale di una mente creativa e anticonformista. E che, se i gusti possono essere molteplici, il buon gusto, invece, è uno solo. 

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