Pinocchio, un'immagine del film di Matteo Garrone

TURNO DI NOTTE

La favola oscura (e italiana) di Pinocchio

Fino a qualche decennio fa, l’educazione letteraria dei bambini italiani si muoveva fra due libri: Cuore di Edmondo De Amicis e Pinocchio di Carlo Collodi. Due poli antitetici che gettavano un differente sguardo sull’antropologia del Belpaese. Se il libro di De Amicis aspirava a dipingere l’Italia desiderata, quello di Collodi era un resoconto del Paese così com’è. Pinocchio che, in questi giorni, torna ad abitare i sogni (e gli incubi) degli italiani attraverso il nuovo film che il regista Matteo Garrone ha tratto dal libro, è una favola perturbante, nella tradizione dei racconti per bambini, con botole nascoste che ci fanno precipitare in un altrove incomprensibile. Quello che il burattino compie nell’Italia dell’Ottocento è un viaggio di formazione, una lenta scoperta del cuore oscuro del carattere nazionale. La sua finale trasformazione in ragazzo in carne e ossa suona però come uno di quei finali posticci dei film hollywoodiani. Pinocchio, infatti, è una favola nera con un esito swiftiano che non funziona in un Paese come il nostro che ama le autoassoluzioni del lieto fine. Collodi fa attraversare al suo burattino l'inferno della condizione umana in Italia per poi elargirgli beffardamente il dono di tramutarlo in un essere umano. Ma l’Italia non è Hollywood. Il trucco finale inevitabilmente non funziona.

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