PALLA AL CENTRO

Le dimissioni di Prandelli e l'ipocrisia del calcio

C’è un velo di ipocrisia che avvolge la vicenda relativa alle dimissioni di Cesare Prandelli (nella foto) da allenatore della Fiorentina. Tipica del calcio, ma non solo. La sensibilità e lo spessore dell’uomo non sono in discussione. Men che meno l’onestà e la serietà. Roba rara, così come le dimissioni che non sono una novità nella sua carriera. Fece la stessa cosa nel 2014 in Brasile, dopo che gli azzurri si erano dilaniati durante il Mondiale chiuso con l’eliminazione al primo turno. Un signore in un mondo in cui la cattiveria viene considerata un valore aggiunto.

No, il velo di ipocrisia sta nei commenti di chi scopre il disagio delle persone perbene in un mondo che procede in nome del business e in cui i valori umani sono un optional e tutto procede così velocemente che non c’è nemmeno il tempo di guardarsi in faccia. Quegli stessi commentatori o tifosi che dopo una vittoria portano in trionfo un allenatore e che dopo una sconfitta lo crocifiggono oggi scoprono che il mondo del calcio brucia tutto e tutti. Quella stessa gente che ogni domenica emette una sentenza si accorge che poi certe condanne feriscono i protagonisti, al di là di quelli che sono gli ingaggi o il conto in banca.

Il discorso vale in serie A, ma anche nelle categorie minori. Nel calcio come negli altri sport o nella vita. Se vinci sei un idolo, se perdi sei un inutile. Dimenticando che per esserci un vincitore c’è bisogno di un perdente. Il mondo in cui il secondo è il primo degli sconfitti si commuove per la lettera di Prandelli che denuncia un sistema in cui non si riconosce più. Sembrano lacrime di coccodrillo. Dureranno qualche giorno e poi Prandelli sarà il passato. I valori del tecnico, invece, resistono. Sono noti da tempo. Aveva lasciato la panchina della Roma nel 2004, prima dell’inizio del campionato, per stare vicino alla moglie malata e morente. Oggi, invece, attraverso i social avviene anche la spettacolarizzazione del dolore. Ci si fa un selfie in ospedale per catturare clic. E’ evidente il disagio. C’è chi resiste e chi no. C’è chi ha la forza di ammettere la propria debolezza e chi fa finta di nulla. Cede all’assuefazione.

Prandelli è uno che non si piega, ma va detta anche un’altra verità. Dal 2014 l’allenatore non ne azzecca una e i risultati sono impietosi. E dopo una serie di incompiute tornare ad allenare alla Fiorentina è una chance di non poco conto. E i risultati non è che sono stati chissà quanto positivi. Al contrario. Ad oggi i viola devono ancora sudarsi la salvezza, con le stesse prospettive di quando Prandelli è arrivato al posto di Iachini. Probabilmente, tanti allenatori sono scomparsi dal grande giro per molto meno. Forse, lui ha smesso di allenare da tempo senza accorgersene. E con il tempo ha speso tutti i bonus accumulati. L’uomo, però, era e resterà di una pasta speciale. Lo era sin da calciatore e lo è rimasto nel tempo. Nella bacheca personale c’è chi mette le coppe, lui può esibire comportamenti da gran signore. Merce rara, non da tutti.