Lettera ai miei figli 7 anni dopo

Ciao Domenico, ciao Maria Paola, rieccomi, sette anni dopo. È una domenica qualsiasi d’aprile. È sera. Il buio ormai nasconde l’orizzonte. C’è quel silenzio che consola la solitudine. Qui, nella casetta in mezzo al verde, non giungono più voci. La nostra Onna si è acquietata. Le luci che spuntano in lontananza fanno fatica a restare sveglie e, come fiammelle tremolanti, paiono preludere alla fine. La quiete favorisce il sonno. Rasserena. Ma al di là del buio già vedo l’alba. E ne ho paura. Sarà l’alba di un giorno nuovo che per me è sempre vecchio.

Penso a voi che quel sei aprile del 2009 l’alba non l’avete vista. I vostri occhi, in quei maledetti 23 secondi, hanno fatto solo in tempo a spegnersi. Tante volte mi sono chiesto qual è stato il vostro ultimo pensiero, l’ultimo sussulto di una vita rapinata nella notte infinita. Non ho risposte se non quel grido che rimbalza ovunque “Papà , papà”. Lo sento anche adesso e la fatica del vivere si fa montagna insuperabile. Eppure _ come ho fatto in tutti questi anni in cui alzarsi al mattino e iniziare giornate vuote e senza senso è stato come camminare sui carboni ardenti fingendo di farlo su un prato verde bagnato dalla rugiada _ anche stavolta voglio scrivervi. È l’unico modo per non perdere il contatto con voi anche se so che non avrò risposta e il postino non suonerà mai alla mia porta con in mano una vostra lettera.

Sette anni. Tanti, troppi da sopportare senza vedervi, senza scherzare con voi, senza guardarvi crescere.

Maria Paola, fra un mese avresti compiuto 23 anni. L’età in cui si fanno scelte di vita, l’età in cui dai sogni si è proiettati in una realtà che azzanna già il futuro. Oggi, nella cappellina al cimitero, abbiamo trovato una tesi di laurea. E’ della tua amica Paola che te l’ha dedicata. Non ti ha dimenticato.

Domenico, tu a 18 anni eri già un ragazzone. Chissà come saresti oggi!

Questa mattina, azzuffandomi, come faccio spesso, con l’erba già altissima davanti alla casa dove stiamo io e mamma, ho avuto un momento di scoramento. Ho pensato che se ci fossi stato tu sarebbe stato tutto più bello. Avremmo scherzato, giocato a fare gli agricoltori e i meccanici, rincorso le galline che non vogliono rientrare nel pollaio, inseguito il nostro cagnolone che spesso mi guarda male perché non gli faccio troppe feste. Forse vorreste sapere come sta andando la ricostruzione di Onna. Pochi mesi fa alcuni cantieri sono stati aperti. Cinque per la precisione. La chiesa parrocchiale dove voi siete stati battezzati e cresimati fra un mese sarà inaugurata. Sarà una bella festa. Ci sarà di nuovo la cerimonia della “discesa” della Madonna. Se sarò lì forse mi verrà il magone. Magari piangerò pensando a voi, a quella bella storia interrotta, a una comunità che riparte senza che il sei aprile abbia insegnato nulla. Ai “rifacitori” della chiesa avevo chiesto che nella cappellina realizzata al posto dell’antico granaio, ci fosse almeno un piccolo lume “perenne” a ricordo della tragedia e di chi non c’è più. Ma non se ne è fatto nulla. L’importante, durante l’inaugurazione, sarà tagliare nastri e darsi pacche sulle spalle. Ormai non mi stupisco più di niente. Ci ho fatto il callo.

Qualche notte fa schiacciato tra l’insonnia e i colpi di tosse che a volte rimbombano per tutta la casa, sono stato costretto ad alzarmi. Mi sono seduto alla scrivania, ho acceso il computer e ho scritto questa frase sulla ricostruzione e sull’atteggiamento che molti hanno rispetto ad essa: «Dal 2009 a oggi è mancata una riflessione collettiva su quanto accaduto. Una cosa, forse, dovuta al fatto che la tragedia, quella vera, quella che ruba il passato e l’avvenire, ha interessato una piccola parte della popolazione.

Gli altri _ ognuno per proprio conto _ superato lo choc hanno cercato di massimizzare ciò che potevano “riscuotere” da quella tragedia.

Oggi in tanti fanno la loro piccola battaglia con l’arma dell’egoismo, non si vedono invece grandi battaglie _ quelle in cui si impugna l’arma del bene comune _ su come ricostruire al meglio la città e i paesi. Fra 80-100 anni nessuno ricorderà i nomi degli aquilani di oggi, ma tutti giudicheranno ciò che questa generazione ha saputo fare non per trasformare un pagliaio in un appartamento, ma per come l’impianto urbano e gli spazi pubblici saranno stati resi funzionali alla qualità della vita e alle occasioni di crescita occupazionale, sociale e culturale».

Cari ragazzi miei, voi che siete in un’altra dimensione provate ad ascoltare ciò che accade in una riunione di soci di un aggregato o in un’assemblea di condominio. Sentirete il peggio che l’umanità è capace di tirare fuori in termini di rancori, invidie, gelosie, accuse, assurde richieste. Durante quelle ore isteriche si rompono amicizie, si creano alleanze fittizie, si svelano personalità contorte. Tutto per “quattro soldi” pubblici, bagnati dal vostro e dal sangue di altre 307 persone. E con i quali (soldi), fra un anno, qualcuno si farà anche bello in campagna elettorale.

Ma così va il mondo.

Ciao ragazzi.

Al 2017.

Se Dio vorrà.

Mamma e papà.