PALLA AL CENTRO

Superlega, l'ipocrisia di un processo irreversibile

Più che di una rivoluzione si tratta di un’altra tappa di un processo irreversibile. Il calcio inteso come sport popolare è finito da tempo. La creazione della Superlega è un ulteriore tassello nel solco tracciato da chi oggi grida allo scandalo. A partire da Uefa e Fifa. Per anni le confederazioni europea e mondiale hanno adottato delle decisioni tese a trasformare il calcio da sport a spettacolo. Hanno innescato un meccanismo che ora è sfuggito di mano. Dal cambiamento delle regole per favorire il maggior numero di gol necessario per lo show fino al grosso giro di denaro che ruota attorno alle manifestazioni. Un’escalation continua. Adesso c’è chi questo business vuole gestirlo per sé, perché convinto di essere a capo di società di grosso appeal non remunerate abbastanza. C’è chi questa torta la vuole dividere per venti club e non per 36 in modo tale da ottenere una fetta più consistente di denaro.

Sì, perché è tutta una questione di soldi. Come avviene in altri settori dell’economia mondiale. E’ chiaro che c’è stata una rottura ad alti livelli: da una parte chi si fa forte del potere sportivo, nelle federazioni, e dall’altra chi maneggia quello economico. L’ideale sarebbe trovare un compromesso, ma ci sono di mezzo anche i rapporti personali andati in frantumi. Basti pensare al presidente Uefa Ceferin che spara a zero su Andrea Agnelli che qualche anno fa lo ha voluto padrino di battesimo della figlia. Stanno volando gli stracci ad alti livelli. Uefa e Fifa si sentono attaccate e reagiscono. Temono di perdere soldi. Custodiscono miliardi di euro. Organizzano Europei e Mondiali che vedono attori protagonisti quei calciatori pagati dai club. Intascano miliardi da sponsor e diritti televisivi sfruttando quei campioni remunerati dalle società a cui era stato promesso un aiuto all’inizio dell’era Covid che però non si è mai materializzato.

All’inizio della pandemia la Fifa, che ha un patrimonio immenso, aveva assicurato un piano di contributi straordinario in grado di ridare slancio al calcio di base e alle società più danneggiate. Niente. Parole al vento. Da qui la reazione dei grossi club europei che hanno dato vita alla Superlega. Facile dire no al calcio venduto in nome del business. Scontato dire che ognuno di noi vorrebbe tornare alla genuinità del calcio degli anni Ottanta. Ognuno di noi chiede meritocrazia e lealtà, sempre e a prescindere. Ma ora è tardi, bisognava pensarci prima.

La legge Bosman con la conseguenza della caduta del vincolo e poi la vendita dei diritti televisivi alle pay per view hanno innescato una corsa irrazionale. Ognuno alza l’asticella fino a quando diventa irraggiungibile. Stucchevole l’indignazione di chi gestisce il potere economico e ora si dimena perché qualcuno vuole soffiarglielo. Irrazionale la politica che scende in campo a tutela della meritocrazia e dei valori dello sport. Quando nel basket è stato deciso di creare l’Eurolega e vi ha preso parte Milano nessuno si è battuto a difesa dei valori dello sport traditi da un’organizzazione privata che ha deciso di mettere insieme l’elite della pallacanestro. L’ultimo scudetto maschile in Italia l’ha vinto Venezia che però non partecipa all’Eurolega.

Ci sono altri esempi sul solco della Superlega. Che non è bella, non è democratica e va contro i principi dello sport, ma non è la fine del mondo. Bisognava indignarsi prima, non ora. Troppo tardi. E se a fare la voce grossa è chi è dentro la stanza dei bottoni può darsi che sia solo una lotta di potere. E i valori dello sport vengano utilizzati per altri fini. Prima si assegnano i Mondiali al Qatar fissandoli nel novembre del 2022 in nome del business e poi ci si lamenta della Superlega? Suvvia, per favore!

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