Aggredirono e mandarono Giuseppe Pio in coma: uno dei bulli condannato a due anni

Lanciano. È un 19enne unico imputabile: il pm aveva chiesto tre anni. La madre della vittima (nella foto, insieme a Giuseppe Pio): «Mio figlio ha subìto danni gravi e permanenti, che nessuna cura potrà guarire»
LANCIANO. È stato condannato a due anni e quindici giorni di reclusione uno dei bulli che, cinque anni fa, aggredì Giuseppe Pio D'Astolfo, mandandolo in coma per un mese. G.P.G., oggi diciannovenne e all'epoca unico imputabile dei tre minorenni indagati, è stato riconosciuto colpevole in primo grado di lesioni personali gravissime dal collegio del tribunale per i minorenni dell'Aquila, presieduto dal giudice Cecilia Angrisano. Il pm Angela D'Egidio aveva chiesto la condanna a tre anni, la difesa l'assoluzione. La sentenza è stata emessa ieri dopo l'esame dell'imputato e la camera di consiglio.
A cinque anni dalla violenta aggressione che ha cambiato per sempre le loro vite, Giuseppe Pio, che oggi ha 23 anni, e la sua famiglia - oggi vivono a Termoli, in Molise - hanno ottenuto un primo riconoscimento dalla giustizia. «Siamo contenti della sentenza, ma la sofferenza e il dolore per noi restano», dice la madre, Paola Iasci, presente anche ieri all'Aquila insieme al marito Giuseppe, «mio figlio è vivo, e di questo sono immensamente grata, ma ha subito danni gravi e permanenti, che nessuna cura potrà guarire. Questi cinque anni per noi sono stati pieni di difficoltà, spese mediche e sacrifici. Niente ci restituirà Giuseppe prima di quel pugno, io vorrei soltanto vederlo felice».
La sera del 17 ottobre 2020 D'Astolfo era con gli amici dietro l'ex stazione dei treni Sangritana, in centro, quando il gruppo dei tre minorenni si è avvicinato. È iniziata una discussione, probabilmente per questioni di ragazze. Giuseppe Pio ha provato a smorzare la tensione con qualche battuta, gli altri invece si sono sentiti provocati e hanno aggredito lui e un amico a calci e pugni. Un violento cazzotto, sferrato alle sue spalle, ha mandato in coma D'Astolfo, che si è risvegliato dall'incubo solo un mese dopo. Per il giovane e la sua famiglia è iniziato un lungo calvario, trascorso prima nel reparto di rianimazione dell'ospedale di Pescara e poi in vari istituti di riabilitazione.
La perizia clinica della dottoressa Maria Rosaria Aromatario, medico legale incaricata dalla Procura nel corso del processo, ha certificato una «disabilità persistente con significativo deficit della sfera cognitiva, relazionale e comportamentale, tale da impedire una ripresa funzionale in ambito familiare, sociale e lavorativo». Da qui l'imputazione per lesioni gravissime, confermate anche dalla sentenza. «È l'esito che attendevamo», commenta l'avvocato Giovanni Mangia, che patrocina i D'Astolfo, «del resto le lesioni gravissime erano state accertate anche dalla Ctu (consulente tecnico) della Procura, il ragazzo ha subito danni permanenti e ha bisogno di cure costanti».
Per l'aggressione a D'Astolfo, i carabinieri avevano individuato e denunciato tre ragazzi: G.P.G., che nel 2020 aveva appena compiuto 14 anni, il fratello minore e un cugino. Quest'ultimo sarebbe stato, per sua stessa ammissione, l'esecutore materiale del pugno. Ma, poiché tredicenne all'epoca dei fatti, il giovane non è mai stato imputabile.
Le motivazioni della sentenza saranno depositate fra 90 giorni, ma il difensore di G.P.G. annuncia già il ricorso in appello. «Qualcuno dovevano condannare», commenta amareggiato l'avvocato Vincenzo Menicucci, «ma l'unico dato vero di questa vicenda è che non è stato il mio assistito a sferrare il pugno. Faremo appello contro questa sentenza».

