Cassiera nei guai per 5 anni di furti «Rubata merce per 286mila euro»

La donna finita sotto accusa dopo la denuncia del proprietario del negozio e le indagini dei carabinieri La procura: «Faceva pagare ai complici prodotti a prezzi di gran lunga inferiori rispetto a quelli reali»
CHIETI. È accusata di aver architettato un sistema così ingegnoso da riuscire a rubare, nel giro di cinque anni, merce per un valore di oltre 286.000 euro. Una cassiera pescarese di 34 anni, L.M., è finita sotto processo, davanti al tribunale di Chieti, per furto pluriaggravato ai danni del negozio in cui lavorava, Risparmio Casa di San Giovanni Teatino. A inguaiarla sono state la denuncia del proprietario del punto vendita e le indagini dei carabinieri della stazione di Sambuceto.
«L’imputata», scrive il sostituto procuratore Giuseppe Falasca, «in concorso con persone allo stato non individuate, al fine di trarne profitto per sé e per altri, favoriva l’impossessamento da parte di terzi di prodotti dell’esercizio commerciale dove era impiegata, battendo scontrini corrispondenti al prezzo della merce ma consentendo di pagare importi di gran lunga inferiori, così sottraendo nel tempo prodotti per il valore complessivo di 286.071,71 euro». Il pubblico ministero contesta anche una serie di aggravanti, a partire dall’aver provocato un «danno patrimoniale di particolare gravità» e dall’aver utilizzato un «mezzo fraudolento, consistito nel rilasciare scontrini per il prezzo intero, in modo da consentire che il complice si allontanasse agevolmente dall’area casse». Ma l’imputata, assistita dall’avvocato Luigi Albore Mascia, si è sempre professata innocente. Per la difesa, la cassa numero 11, ovvero quella in cui sono state registrate irregolarità, veniva usata da più dipendenti. Non solo: manca la prova, sempre in base alla tesi difensiva, che la donna fosse effettivamente al lavoro nei giorni in cui sono stati compiuti i furti.
Tutto è venuto a galla dopo la segnalazione di una collega. «Il 23 febbraio 2021», ha raccontato la donna ai carabinieri, «mi trovavo in prossimità della cassa dove stava operando L.M. e mi sono accorta che il cliente che stava pagando era suo suocero. Le ho ricordato che la policy aziendale vieta di servire i parenti e le ho fatto presente che il suocero avrebbe dovuto transitare in un’altra cassa. Lei si è scusata, dicendo che ormai aveva iniziato il conto. Insospettita dal suo atteggiamento e non convinta dalla giustificazione, sono rimasta nei paraggi e mi sono accorta che il totale dell’importo che L.M. aveva richiesto a voce al suocero non corrispondeva alla quantità di merce messa nel carrello».
A quel punto sono partite una serie di verifiche che hanno consentito di scoprire il presunto sistema fraudolento. «Quando un cliente si presentava a pagare», hanno ricostruito i testimoni davanti agli investigatori, «L.M. batteva regolarmente i beni acquistati sul registratore di cassa. Ma, dopo aver ricevuto il pagamento dell’importo dovuto, sospendeva lo scontrino e, in orario a lei confacente (in genere a cavallo del pranzo o poco prima della chiusura serale), richiamava lo scontrino per azzerarlo o applicare uno sconto, per poi, così facendo, sottrarre all’azienda le somme che il cliente aveva corrisposto. Il tutto tramite badge del responsabile del punto vendita, di cui non doveva avere la disponibilità». E una fotocopia cartacea del badge, sempre in base a quanto riferito dai colleghi, è stata trovata sotto la cassa dove l’imputata lavorava.
Ieri mattina, davanti al giudice monocratico Enrico Colagreco e al pm d’aula Natascia Troiano, sono stati ascoltati alcuni testimoni, tra cui il tecnico dell’azienda che ha accertato le operazioni di cassa ritenute fraudolente. Si torna in aula il 25 febbraio 2025 per ascoltare altri testimoni.
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