Chieti, il pm: “Il professore disertava le lezioni, va condannato a 3 anni e 3 mesi»

A Raoul Saggini, ex docente dell’università d’Annunzio, vengono contestati i reati di falso e truffa: «Indebiti guadagni per 27mila euro». L’inchiesta partita dalla denuncia degli studenti di Fisioterapia. La sentenza arriverà il 4 novembre
CHIETI. È l’ottobre del 2018 quando sul tavolo del rettore dell’università d’Annunzio arriva la denuncia di un gruppo di studenti di Fisioterapia contro il professor Raoul Saggini. Lo accusano di assenteismo, dicendo di non averlo visto quasi mai a lezione negli anni che vanno dal 2016 al 2018. Alla d’Annunzio è un terremoto. Saggini non è un professore come tanti. È il padre del Cumfer, il Centro universitario di medicina fisica e riabilitativa dell’ateneo, vera e propria miniera d’oro per l’università dannunziana, occupandosi della cura di pazienti paganti. La fama di Saggini è nota in tutta Italia e infatti ricopre diversi ruoli nazionali di prestigio. Alla d’Annunzio è ordinario di Medicina fisica e riabilitativa, dirige la scuola di specializzazione di Medicina fisica e riabilitazione, presiede il corso di laurea in Fisioterapia, insegna anche in altri corsi di laurea e in altre scuole di specializzazione dannunziane.
Quando l’allora rettore Sergio Caputi si trova davanti la denuncia degli studenti, non può che aprire un procedimento disciplinare, che parte a inizio 2019 e arriva, con diverse vicende, fino all’udienza di ieri in tribunale, dove il professore 72enne di Firenze deve difendersi dalle accuse di truffa e falso. La Procura, attraverso il pubblico ministero Giuseppe Falasca, chiede per lui una pena di tre anni e tre mesi di detenzione. L’udienza di ieri, davanti al collegio giudicante formato da Morena Susi (presidente), Maurizio Sacco ed Enrico Colagreco, si è aggiornata al 4 novembre prossimo per la decisione.
Ieri c'è stata la requisitoria del pm Falasca e la richiesta di assoluzione dei due difensori del professore, Giovanni Santagata e Pierfrancesco Zecca. Al termine dell'udienza ha voluto prendere la parola lo stesso Saggini, presente in aula, per delle dichiarazioni spontanee a difesa del suo operato. Il pm lo accusa di non aver svolto i suoi obblighi da insegnante, attestando «falsamente nei registri didattici relativi agli anni accademici 2016/2017, 2017/2018, 2018/2019 di avere svolto l’attività didattica cui era tenuto, sotto la dicitura di “esercitazioni mutuate Cums” - Centro universitario di medicina dello sport poi trasformatosi in Cumfer - attività che in realtà attenevano a visite mediche».
Nella tesi accusatoria, le false attestazioni per lezioni mai svolte gli avrebbero assicurato anche scatti stipendiali, per complessivi 27.945 euro, che invece non gli sarebbero spettati. Di qui l'accusa, oltre che di falso, anche di truffa. La difesa di Saggini ha insistito, invece, sul suo peculiare metodo di insegnamento del professore, imperniato proprio nelle attività con i pazienti svolte al Cumfer, un metodo di insegnamento che aveva sempre soddisfatto gli studenti e che, fino a quella denuncia del 2018, non aveva mai sollevato contestazioni.
Anzi, come hanno sottolineato gli avvocati difensori, le valutazioni da parte degli studenti sull'operato del professore, raccolte attraverso un metodo specifico e codificato, erano sempre state positive e superiori alla media degli altri docenti universitari. La difesa ha sollevato inoltre perplessità sull'affidabilità sia dei registri didattici sia dei fogli delle presenze tenuti dalla cooperativa Biblos. Per quanto attiene, invece, alle risultanze dell'indagine che attesterebbe che dalle celle telefoniche agganciate dal cellulare del professore, il docente sarebbe risultato fuori regione nei giorni in cui avrebbe dovuto essere a Chieti, la difesa ha obiettato il fatto che il professore sarebbe stato in possesso di un secondo telefonino cellulare.
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