Chieti, maxi truffa da 45 milioni con i registratori di cassa modificati

Denunciati imprenditori di un gruppo che opera nei settori della ristorazione e degli oggetti preziosi. Evasa Iva per 3,5 milioni

CHIETI. Registratori di cassa modificati: emettevano regolari scontrini, in realtà gli incassi sparivano dalla contabilità. Sono 11 le denunce della guardia di finanza nei confronti di rappresentanti di un "noto gruppo imprenditoriale operante nei settori della ristorazione e della vendita di oggetti preziosi”. In particolare sono state segnalate 5 rappresentanti legali (tra loro parenti) di 7 società di capitali per dichiarazione fraudolenta mediante artifici; altre sei, ritenuti soci percettori di redditi di capitali in nero, sono finiti nei guai per dichiarazione infedele.

IL GIRO D'AFFARI. Una truffa che avrebbe consentito di evadere il fisco e di fare "nero". Il volume della frode ammonta complessivamente a oltre 45 milioni di euro di reddito non dichiarato e a circa 25 milioni di euro di valore della produzione non dichiarata. L’imposta sul valore aggiunto evasa al fisco nell’intero periodo d’indagine, ammonta a circa 3,5 milioni di euro. Mentre gli avvisi di accertamento già notificati dall'Agenzia delle Entrate hanno finora portato nelle casse dello Stato somme per oltre 2 milioni di euro.

COME FUNZIONAVA. L’operazione è stata battezzata dalla Finanza “Phantom Ticket” ("scontrino fantasma"). Dalle indagini è emerso che sono stati sottratti al fisco enormi corrispettivi avvalendosi dei registratori di cassa appositamente modificati. Secondo le fiamme gialle, i soci continuavano a finanziare le aziende con nuovi e sorprendenti apporti di capitali i quali non erano altro che i ricavi scomparsi. I vantaggi consistevano nell’evitare l’imposizione diretta ed indiretta dei corrispettivi realmente ottenuti in capo alle società e la tassazione sulla distribuzione degli utili ai soci. Questi ultimi sembravano disporre di fondi illimitati. Come ulteriore conseguenza, è stata riscontratta l’introduzione del “nero” nel ciclo economico lecito, riciclando il denaro frutto di evasione dandogli un apparente provenienza lecita e alterando le condizioni economiche della leale concorrenza sul mercato. In particolare, è emerso che i cinque imprenditori, legati tra loro da un vincolo di parentela, avrebbero effettuato individualmente, nel tempo, continui versamenti e/o conferimenti nelle “casse” delle loro innumerevoli società (oltre 170 nel periodo esaminato dal 2005 al 2014), di entità tali da far emergere una significativa divergenza fra le entrate dichiarate e quelle effettivamente conseguite.