Chieti, mobbing in corsia: «Il primario maltrattò i medici: va condannato a 3 anni e mezzo»

Processo Di Giammarco alle battute finali: per l’accusa è colpevole, la difesa chiede l’assoluzione, a gennaio la sentenza. Dieci gli episodi finiti nel fascicolo d’inchiesta, avvenuti tra il 2004 e il 2020
CHIETI. È alle battute finali il processo nei confronti dell’ex primario di cardiochirurgia Gabriele Di Giammarco accusato di maltrattamenti. Il noto medico si sarebbe reso protagonista di vessazioni, comportamenti arbitrari e prevaricazioni nei confronti di dieci chirurghi con i quali lavorava al Santissima Annunziata. Nel reparto sarebbe stata in vigore una gestione autoritaria da parte del primario, con atteggiamenti ritorsivi nei confronti di chi non si allineava alle sue direttive.
Ieri l’udienza davanti alla giudice Morena Susi ha visto l’accusa chiedere tre anni e mezzo di reclusione, mentre la difesa ha chiesto l'assoluzione perché il fatto non sussiste o, in via subordinata, perché il fatto non è previsto come reato. Le tesi dell’accusa sono state sostenute dal pubblico ministero Giancarlo Ciani, la difesa è stata portata avanti dagli avvocati Leo Brocchi e Gianfranco Iadecola. Al termine della discussione, l’udienza è stata aggiornata al 23 gennaio. I presunti maltrattamenti in reparto si sarebbero consumati dal 2004 al 2020. Dieci i casi riportati e per un paio di episodi scatterebbe già la prescrizione. Otto dei dieci medici sottoposti alle presunte vessazioni sul luogo di lavoro hanno abbandonato, definitivamente o solo per un periodo limitato di tempo, il reparto di cardiochirurgia del Santissima Annunziata.
Secondo le indagini della Procura, il primario mortificava la professionalità dei suoi sottoposti in alcuni casi estromettendoli da ogni tipo di intervento chirurgico e relegandoli alla sola gestione delle urgenze. Sarebbe arrivato persino a estromettere medici da ogni turno di servizio. Qualcuno si sarebbe visto revocare le ferie in maniera reiterata con asserite esigenze di servizio. Alcuni sarebbero stati sottoposti a turni massacranti di servizio ininterrotto per oltre nove mesi. Sarebbe bastata una semplice contestazione di scelte mediche del primario a far scattare un decremento significativo dell'attività chirurgica. E ci sarebbero state offese pronunciate in maniera palese, anche di fronte ad altri medici, con epiteti come «abbonato rai», «buono a nulla», «braccia sottratte all'agricoltura». Ci sarebbe stato anche un caso in cui medici non sono stati autorizzati a fare un trapianto di cuore, nonostante fosse stato assicurato dal centro trapianti la bontà dell’organo e fosse indispensabile procedere all'intervento: «Ciò al solo fine di precludere ai medici», scrive la Procura, «di eseguire in sua assenza l'intervento chirurgico che avrebbe arricchito la loro professionalità». C'è poi il caso della direttiva scritta, emanata dal primario, per imporre ad alcuni medici di misurare la pressione arteriosa dei pazienti, «così pervenendo a un loro demansionamento», nota la Procura. L'accusa parla anche di «mobbing lavorativo» con «vessazioni quotidiane». La difesa, invece, ritiene che non ci siano gli estremi per ipotizzare un reato di maltrattamenti. Alcune vittime si sono costituite parte civile attraverso l’avvocato Giulio Fierini.

