Coltellate e minacce con la pistola per la droga: 4 arresti e 7 indagati

Chieti. Maxi operazione della Polizia. Trovato l’elenco dei debitori con il titolo ispirato a Escobar: «Soldi o piombo». Feriti anche due ragazzini di 14 anni. Sequestrate le armi
CHIETI. C’è un’ideologia distillata in una domanda, brutale e definitiva: «Plata o plomo?!». Argento o piombo. Paga o muori. Non è il titolo di una puntata della serie tv Narcos, ma il titolo che lei, Joyce Cocco, un amore per le citazioni di Pablo Escobar, aveva dato alla lista dei suoi debitori sul cellulare. È il principio fondante di questa storia, il codice che regola la logica di un’intera rete di spaccio e la trasforma in un meccanismo di violenza. Una progressione implacabile che per mesi ha trovato sfogo in atti di intimidazione crescenti, prima di esplodere, nel pomeriggio dello scorso 25 aprile, in una spedizione punitiva a Chieti con tre ragazzi accoltellati, di cui due di appena 14 anni, e con una pistola carica puntata contro un giovane. Quell’elenco sul telefono non era solo un promemoria contabile, ma l’anticamera di un’aggressione: la cronaca dettagliata di un’ossessione per il controllo che ha trasformato un credito di droga in un piano di terrore. Ci sono un uomo e una donna al centro di questa storia che, sull’asse Abruzzo-Lazio, si dipana tra armi e una montagna di cocaina, hashish e marijuana. Lui ha 32 anni, Amed Quesada, viene da Cuba. Lei, Joyce Cocco appunto, di anni ne ha 25. Insieme vivevano a Santa Maria Imbaro e, dice l’accusa, governavano un pezzo di territorio con le regole dello spaccio. Un’inchiesta dei poliziotti della squadra mobile di Chieti – diretta dal commissario capo Francesco D’Antonio, sotto il coordinamento del procuratore Giampiero Di Florio e del pubblico ministero Giancarlo Ciani – ha ricostruito la loro rete, un sistema fatto di fornitori, custodi e trasportatori, compendiato in 49 capi d’imputazione. Un sistema che non tollera insolvenze.
GLI ARRESTI
Nei confronti della coppia (ora ex, perché i due si sono lasciati), la procura teatina ha tracciato una mappa di reati: rapina pluriaggravata in concorso, lesioni personali aggravate, detenzione e porto illegale di arma comune da sparo e numerose cessioni di stupefacenti in continuazione. L’architettura accusatoria descrive un quadro di «violenza sistematica e intimidazione costante», usata per riscuotere i pagamenti con una ferocia che non ammetteva ritardi. Per Quesada il giudice Maurizio Sacco ha disposto il carcere, per la Cocco gli arresti domiciliari. Altre sette persone sono indagate a piede libero, sempre per spaccio. E ieri, al momento del blitz che ha visto in campo 70 agenti, sono scattati altri due arresti in flagranza: in manette sono finiti l’albanese Elton Qerreti, residente ad Aprilia (Latina) e ritenuto il principale fornitore dell’ex coppia terribile, e Alessandro Ceroli, che vive a Montesilvano. Il primo nascondeva due pistole cariche con 25 proiettili, oltre a un chilo di cocaina pura e dieci di sostanza da taglio, e gestiva un laboratorio di confezionamento dello stupefacente. Il secondo, invece, è stato sorpreso con due chili e mezzo di hashish. In totale, sono stati sequestrati anche 15.000 euro. Come sottolineato dal questore Leonida Marseglia, è un importante colpo inferto a un’organizzazione che avvelenava con fiumi di cocaina anche gli ambienti della movida.
L’AGGRESSIONE
La scena madre di questa storia si consuma in un appartamento di Chieti, in un raid descritto dal giudice come una «azione delittuosa connotata da spiccata gravità». L’obiettivo è un ventenne che ha un debito. Ha comprato hashish da Quesada e Cocco, ma la Divisione polizia anticrimine glielo ha sequestrato il 18 aprile. Un affare andato in fumo, un buco da ripianare. La spedizione punitiva è la conseguenza naturale. Sulla loro strada, però, trovano due ragazzini. Quattordici anni. Sono lì, dice l’ordinanza, per comprare droga anche loro, sono già dentro la filiera del consumo. Ma questo non li protegge. Vengono bloccati nell’androne, «trascinati sino alla porta di ingresso dell’abitazione», minacciati, feriti. Il referto del pronto soccorso parlerà per uno di «una ferita da arma da taglio all’emicostato sinistro», giudicata guaribile in cinque giorni, per l’altro di «un trauma contusivo e una ferita da arma da taglio all’emivolto sinistro», con una prognosi di sette giorni.
PISTOLA PUNTATA
Una volta dentro casa, la furia si scatena sul debitore. Quesada lo minaccia con una pistola Walther modello 9, calibro 6.35, «munita di caricatore con colpi», e lo colpisce ripetutamente con calci e pugni. Lo percuote senza sosta. La Cocco, mentre mette a soqquadro la casa, lo ferisce alla coscia con un fendente. Non cercano solo soldi. Umiliano, depredano, lasciano un segno. Si impossessano di due orologi di pregio – un Hublot e un altro in oro per un valore di oltre 30.000 euro – ma anche delle chiavi del suo appartamento e di quelle della casa di sua madre. Un messaggio trasversale, che tocca gli affetti, la famiglia. E poi i cellulari dei due quattordicenni. La refurtiva è il trofeo, la prova del potere esercitato.
LA RETE DI SPACCIO
Da questa aggressione parte un’indagine complessa. È un lavoro paziente di ricostruzione, fatto di intercettazioni, di pedinamenti, di analisi. E rivela un mondo. Un mondo dove la droga arriva da lontano, dove la cocaina ha un canale di approvvigionamento che parte dal Lazio, da Roma e da Aprilia, per arrivare sulle piazze di spaccio abruzzesi, da Chieti a Montesilvano, passando per i centri della provincia come Lanciano, Santa Maria Imbaro, Atessa, Mozzagrogna e Fossacesia. La rete, pur senza che venga contestata un’associazione formale, ha i suoi uomini per ogni compito: c’è chi custodisce la merce, chi la trasporta. Ma soprattutto, c’è un metodo. Nelle conversazioni non si usano linguaggi cifrati. Si parla chiaro, di soldi e di sostanza. Il giudice lo definisce un linguaggio «esplicito, trasparente, non gergale», e lo considera un grave indizio, il segno di un «radicato senso di impunità».
LA LISTA DEI DEBITORI
Dentro questa storia c’è un altro dettaglio che è quasi un manifesto. Nello smartphone di Joyce Cocco gli investigatori trovano un elenco di debitori. Il titolo che la donna ha dato a quella lista è una citazione che non ha bisogno di traduzioni: «Plata o plomo?!». Paga o muori. È il codice non scritto che ha regolato per decenni i cartelli dei narcos sudamericani, importato e applicato in una provincia italiana. È la sintesi brutale della filosofia che ha armato la mano di chi, per un debito modesto, non ha esitato a usare la violenza anche contro due ragazzini.
L’INCHIESTA PROSEGUE
Le indagini della squadra mobile non si fermano qui, anche perché – per la posizione di otto indagati – il giudice si è dichiarato incompetente e gli atti sono state trasmessi ad altre procure che, adesso, potrebbero decidere di chiedere misure cautelari, considerando che tutte le perquisizioni hanno avuto «esito positivo», segno di un lampante rischio di reiterazione del reato, oltre che di pericolosità evidenti (vedasi le due pistole sequestrate). Ma dalle indagini è emerso già un quadro chiaro: quello di una criminalità che non è occasionale. È un’impresa che gestisce flussi di denaro e di droga, che difende il suo mercato con la violenza, che impone la sua legge. Una legge che non conosce garanzie né appelli, ma solo la logica del più forte. Quella che, in un pomeriggio di aprile, ha lasciato una scia di sangue e paura dentro un appartamento di Chieti.

