Chieti

Così la banda svuotava le slot machine: nel mirino i bar, un giovane nei guai

22 Settembre 2025

Per rubare i soldi utilizzato un particolare filo metallico. Locali depredati a Chieti Scalo, Fara Filiorum Petri e Francavilla, decisivi i video delle telecamere e il racconto della titolare di un’attività. L’imputato, finito a processo, respinge le accuse

CHIETI. Un filo metallico piegato ad arte, un gancio sottile capace di trasformare una moneta in una chiave universale. Era questo lo stratagemma, conosciuto in gergo come «ferruccio» o «pesciolino», che secondo la procura di Chieti ha permesso a una banda di specialisti di svuotare le slot machine dei bar del capoluogo teatino e della provincia, convertendo il gioco d’azzardo in un prelievo sistematico e silenzioso.

Una serie di colpi che ha fruttato oltre 15.000 euro in pochi giorni, ingannando i sensori elettronici delle macchine e lasciando i gestori a fare i conti con ammanchi inspiegabili. Per quei fatti, un giovane di 24 anni, di origini albanesi e residente a Casacanditella, è stato ora rinviato a giudizio dal giudice Morena Susi. L’uomo, accusato di furto pluriaggravato in concorso, dovrà comparire il prossimo 23 febbraio davanti al giudice Luca De Ninis per la prima udienza del processo. La trama dei furti, meticolosa e replicata in serie, si è dipanata nell’aprile del 2023. Il pubblico ministero Giuseppe Falasca contesta formalmente al giovane due episodi: il primo, del 4 aprile a Chieti Scalol, quando dal bar Caffè D’Urbano sono spariti 9.539 euro; il secondo, dell’8 aprile a Fara Filiorum Petri, nel bar Eden, da dove sono stati sottratti 6.358 euro.

L’inchiesta dei carabinieri è partita da una denuncia che ricostruiva un quadro più ampio, includendo anche un terzo colpo messo a segno nel pomeriggio dello stesso 8 aprile a Francavilla al Mare, ai danni del Matribar, con un ammanco di 4.837 euro. Quest’ultimo episodio, pur parte del fascicolo investigativo iniziale, non rientra nei capi d’imputazione per i quali il ventiquattrenne è finito alla sbarra.

Il danno complessivo denunciato dalla società di noleggio ammonta a quasi 21.000 euro, una perdita secca per l’azienda, perché, come specificato in querela, l’erario non riconosce alcun tipo di risarcimento per questo genere di reato.

Il metodo utilizzato era tanto semplice quanto efficace, un inganno meccanico ai danni di un sistema digitale che non prevedeva alcuna manomissione interna o forzatura degli apparecchi. L’inganno era tutto esterno, nell’uso fraudolento delle macchinette. Il gruppo, composto secondo gli inquirenti da quattro persone, utilizzava le slot machine inserendo nella gettoniera una moneta, che una testimone chiave ha descritto agli atti come «una monetina da due euro, praticando un buco all’estremità» per agganciarla a un filo metallico. Il congegno permetteva alla macchina di registrare il credito per la giocata, ma il «ferruccio» impediva alla moneta di cadere nella cassa, facilitandone il recupero immediato. In questo modo, la stessa moneta veniva usata decine, centinaia di volte, consentendo alla banda di giocare senza sosta e gratuitamente fino a sbloccare le vincite e svuotare completamente i serbatoi delle slot. Una tecnica che, come ha riferito la stessa testimone dopo aver parlato con un tecnico, richiedeva tempo e pazienza: per effettuare quel tipo di lavoro, gli autori avrebbero avuto bisogno di «circa quattro se non cinque ore».

A far scattare l’allarme, presentando una querela ai carabinieri, è stato un imprenditore di 43 anni, titolare della Cash games, la società che noleggiava gli apparecchi elettronici ai bar. L’uomo si è insospettito dopo aver ricevuto diverse segnalazioni di «refill», la richiesta di ricarica che scatta quando le slot esauriscono il denaro da erogare. Era anomalo che più macchine, in locali diversi, andassero in crisi di liquidità quasi contemporaneamente. Un controllo incrociato tra i dati registrati dai software interni e le monete effettivamente presenti nelle casse ha fatto emergere gli ammanchi. A quel punto, l’analisi delle immagini registrate dai sistemi di videosorveglianza dei locali è diventata la chiave di volta. Per l’episodio del Caffè D’Urbano, le immagini non erano più disponibili. Nei video dell’Eden e del Matribar, invece, comparivano sempre le stesse quattro persone. Tre di loro, secondo la ricostruzione, si dedicavano alle giocate seriali, passandosi di mano il «ferruccio», mentre un quarto componente del gruppo faceva da palo. La svolta decisiva è arrivata dalla testimonianza della titolare del bar di Fara Filiorum Petri. La donna ha riconosciuto uno dei quattro giovani come un ragazzo che in passato aveva frequentato il suo locale. Grazie a queste indicazioni, i militari della stazione di Rapino sono riusciti a dare un nome e un volto al sospettato, identificandolo nel ventiquattrenne ora a processo.

La difesa, rappresentata dall’avvocato Alessandra Supino, aveva sollecitato il non luogo a procedere, anche alla luce del fatto che, in un primo momento, la stessa procura aveva chiesto l’archiviazione, non essendo emersi elementi per un’identificazione certa. Il legale ha sottolineato che si tratta di un giovane incensurato che ha sempre lavorato onestamente.

Un filo di metallo per beffare le slot machine. Ora un processo per rispondere di quel trucco.

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