I neofascisti abruzzesi sognavano lo stradario in stile mussoliniano: «Via il nome di Matteotti»

13 Luglio 2025

I terroristi neri avevano scritto una nuova Costituzione. Se avessero vinto loro, girando da via Arniense, a Chieti, sareste entrati in “piazza Adolf Hitler (alleato)”

CHIETI. Se avessero vinto loro, girando da via Arniense, a Chieti – nell’anno primo dell’era Avanguardista – sareste entrati in “piazza Adolf Hitler (alleato)”. E, sempre se avessero vinto loro, in tribunale, ci saremmo tutti alzati per ascoltare la lettura delle sentenze nella bellissima e luminosa “aula Josef Mengele (scienziato)”. C’era molta follia, ma anche molto metodo, nella pignoleria distopica dei neofascisti abruzzesi di Avanguardia Ordinovista. Coltivavano una vera e propria passione per la toponomastica e, dopo aver cancellato dallo stradario tutti i nomi dei liberali e degli antifascisti, ci avrebbero regalato il ponte Goebbels, l’istituto comprensivo Auschwitz e l’opportunità di vederci per un caffè in piazza dei Tre imperi (oltre Roma, Tokyo e Berlino), dopo essere scesi al capolinea, in Largo dichiarazione di guerra alla Francia.

Mentre trafficavano con fucili e pistole, mentre programmavano omicidi politici mirati – dunque – gli aspiranti “Colonnelli” avevano già stilato una nuova Costituzione dello Stato italiano, e immaginato una nuova onomastica ispirata agli eroi dell’epica fascistissima. Il gruppo terroristico nero Avanguardia Ordinovista, attivo in Abruzzo fino a dicembre 2014, la cui concreta pericolosità per lo Stato è stata accertata dalla sentenza della Corte d’assise di Chieti (depositata cinque giorni fa), aveva vergato gli articoli di uno statuto da imporre alla Nazione. Un documento, fatto circolare clandestinamente fra gli associati, composto da 85 articoli e – persino – da 10 disposizioni transitorie, norme che avrebbero assicurato il trapasso dalla morente Repubblica al nuovissimo regime. Tuttavia, proprio per la sua ispirazione visionaria, questo grottesco carnevale non può essere derubricato a un fenomeno di colore, anche perché aveva radici culturali più antiche, precedenti alla nascita della banda.

A redigere il nuovo Statuto era stato Rutilio Sermonti, l’ideologo che Avanguardia Ordinivista aveva eletto a vate: occhi penetranti, sopracciglia folte, grande barba bianca negli ultimi anni della sua vita, Sermonti è morto nel 2015 all’età di 94 anni, dopo una biografia tutta citata in nero: militare arruolato volontario per amore del regime mussoliniano durante la seconda guerra mondiale, militante di Ordine Nuovo negli anni Cinquanta, latitante negli anni Settanta, scrittore e intellettuale di destra negli ultimi anni vissuti in Italia, era stato insieme a Clemente Graziani uno degli animatori del disciolto Movimento Politico Ordine Nuovo: era lui la mente propulsiva del gruppo. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, Sermonti, facendo la sua scelta di campo, si era aggregato alle Ss e poi aveva aderito alla Repubblica sociale italiana.

Il suo nome è più volte citato nelle motivazioni della sentenza perché ha incontrato in numerose occasioni Stefano Manni, il capo di Avanguardia Ordinovista (già condannato in via definitiva con il rito abbreviato), e i suoi sodali, condividendo con loro il progetto eversivo e politico, che nello “Statuto della Repubblica dell’Italia unita” aveva la sua carta di identità. Questo documento – dunque – ha rappresentato per gli imputati il «manuale al quale fare riferimento come stimolo all’azione».

Gli 85 articoli della Costituzione “nera” sono suddivisi in 12 sezioni telematiche, che disciplinano i diversi aspetti della vita socio-politica, più una tredicesima parte composta da 10 punti. Lo statuto esordisce così: «La nazione italiana è una realtà unitaria morale, politica ed economica insieme, superiore per potenza e durata a quelle degli individui, divisi o raggruppati, che la compongono, che si realizza integralmente in modo attivo e giuridicamente strutturato nello Stato Organico». Alcuni articoli richiamano esplicitamente l’epoca fascista, fino a prevedere l’esaltazione di Benito Mussolini, definito «l’ultimo Capo storico di un’Italia libera e sovrana». E ancora: «Sono integralmente abrogate, come anti-nazionali e volute dal nemico, tutte le sanzioni contro il fascismo. I colpiti da esse, ove possibile, saranno risarciti».

All’articolo 4 si legge: «Sono interamente annullate tutte le decorazioni e altri riconoscimenti onorifici concessi per meriti “resistenziali” e cioè agli ordini del nemico». La figura di Mussolini «sarà esaltata e religiosamente onorata», così come «la memoria dei suoi maggiori e fedeli collaboratori». Non poteva mancare l’articolo 7: «È reintrodotto, come saluto ufficiale, quello romano, a mano tesa e dita aperte, col gomito all’altezza dell’orecchio destro».

Sermonti, ormai prossimo alla morte, individua in Manni il proprio successore. È a lui e ad altri due coimputati che invia una mail per comunicare le sue peggiorate condizioni fisiche che richiedono un ricovero in ospedale per controlli. Con l’occasione, l’anziano reduce della Repubblica sociale italiana esprime rammarico perché la sua imminente fine non gli consentirà di assistere «al varo della navicella da voi progettata e da me approvata al punto da dedicarle, fino a oggi, tutto ciò che restava di me». L’altro imputato Luca Infantino inserisce sui gruppi Facebook della banda lo statuto e i documenti «considerati di rilievo per la crescita culturale degli aderenti alle idee di estrema destra dell’associazione terroristica». Non solo: realizza il simbolo di Avanguardia Ordinovista, vale a dire una “A” e una “O” maiuscole stilizzate, unite a formare un triskele.

Il contenuto del folle statuto dei terroristi s’intreccia al presente. All’articolo 5 della Costituzione “nera” è scritto: «Tutta la toponomastica intitolata a tale Matteotti Giacomo, privo di qualsiasi benemerenza nazionale, è rigorosamente soppressa e sostituta con quella precedente o per le vie, piazze e altri spazi nuovi coi nomi di caduti in difesa della Patria o martiri dell’odio fratricida».

Se siete arrivati fin qui nella lettura, se avete capito cosa volevano fare se avessero vinto loro, provate a immaginare questo epilogo repubblicano e democratico, come un piccolo colpo di scena: i nostalgici abruzzesi delle Ss hanno chiuso il romanzo di illusioni perdute con un finale per loro beffardo. Dopo undici anni, sono stati condannati a un totale di 75 anni di carcere. La sentenza è stata letta, senza troppe fanfare, nell’aula della Corte d’assise di Chieti. Una condanna pronunciata nell’aula Giacomo Matteotti. Non hanno vinto loro, perché i soldati del nuovo Reich sono stati infiltrati e sbaragliati dai carabinieri come una miserabile banda di spacciatori. Il romanzo distopico e il nuovo stradario sono rimasti nel cassetto dei sogni hitleriani. Ha vinto la Repubblica.

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