Palmoli

Il diritto all’amore prima di tutto il resto

24 Dicembre 2025

Famiglia del bosco, il commento della psicologa sull’ordinanza del tribunale per i minorenni pubblicata in esclusiva dal Centro: «L’arroganza di chi guida senza conoscersi è una delle principali fonti di violenza sociale»

La parola crisi, lo ricordo a chi ama usarla come clava, in greco significa opportunità. E ogni crisi grave – come quella sollevata dal caso della cosiddetta “famiglia del bosco” – non è uno scandalo da consumare mediaticamente, ma un’occasione storica per pensare. Pensare davvero.

Oggi non possiamo più parlare della famiglia. Dobbiamo parlare delle famiglie. Famiglie tradizionali, iper-tradizionali, ricomposte, allargate, monoparentali, arcobaleno, interetniche, adottive, affidatarie, di fatto. Famiglie che vivono in contesti protetti e famiglie immerse in ambienti degradati. E, sempre più spesso, famiglie sovrastate da un’altra entità: la famiglia virtuale, che ha surclassato il ruolo affettivo ed educativo sia della famiglia reale sia della scuola.

Dentro questo quadro complesso irrompe la “famiglia del bosco”, che rimette brutalmente in discussione un nodo centrale: il rapporto tra potere genitoriale e diritti dei minori. Escludere i figli dal mondo, dalla scuola, dalla sanità, dalla socializzazione non è una scelta neutra. È una scelta che va osservata, valutata, verificata. Non ideologicamente, ma scientificamente. Parlo con l’esperienza di chi è stata per quattro anni l’unico membro italiano del Comitato Onu per i diritti dell’Infanzia.

Il primo diritto del minore è uno solo, e viene prima di ogni altro: l’amore. Essere amati, riconosciuti, accolti. Poi, passando da questa piattaforma d’amore, vengono la cura fisica, la tutela sanitaria, la scuola come luogo di apprendimento e socializzazione, la protezione da violenze manifeste e/o invisibili. La vera domanda, allora, non è se questi genitori siano “diversi”, ma se siano equilibrati, affettivamente competenti, capaci di prendersi cura del benessere psicofisico dei figli. E lo stesso vale per i bambini: non basta chiedersi se sanno leggere o scrivere, ma se sono sereni, integri, capaci di costruire legami, di pensare, di sentire.

Ma qui arriva il punto più scomodo. Tutto questo controllo, questa attenzione, questa valutazione non può scattare solo quando emerge un caso eclatante. Deve diventare un codice culturale condiviso. Chiunque eserciti un potere su un altro essere umano – genitore, educatore, insegnante, amministratore, governante – dovrebbe porsi una domanda preliminare: io come sto? Gli psicoterapeuti fanno supervisione per anni. Perché dovrebbero esserne esenti genitori, educatori, politici?

L’arroganza di chi guida senza conoscersi è una delle principali fonti di violenza sociale. Se questa crisi ha un senso, è questo: ci chiama tutti alla formazione, alla responsabilità, alla conoscenza di sé. E ci ricorda che separare dei bambini dai genitori affettivamente presenti, senza un pericolo concreto e dimostrato, è una ferita che pesa.

Il mio metro è semplice, forse troppo semplice per una giustizia irrigidita: l’amore viene prima di tutto. Se questo criterio non vale per tutti, allora non vale per nessuno.

Buon Natale. Ma davvero. A partire dai bambini.

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