"In Giappone giorni di terrore", il racconto degli abruzzesi

Fabio Mancinelli, in viaggio con un amico nella penisola nipponica colpita dal terremoto, torna a Miglianico. È il primo abruzzese a rientrare, ecco il racconto del dramma vissuto in Giappone
MIGLIANICO. Ore 21 di ieri: Fabio Mancinelli finalmente arriva nella piazza centrale della sua Miglianico. E' sfinito dalla stanchezza per un viaggio in aereo durato 15 ore, e l'odissea che ha stravolto la sua vacanza in Giappone con l'amico di Miglianico Fabio Adezio, rientrato ieri pomeriggio direttamente a Pisa dove lavora. I primi a abbracciare Mancinelli sono il papà Aldo e il sindaco di Miglianico Dino De Marco. L'inferno di Tokyo se l'è lasciato alle spalle.
«Sono rientrato nel giorno previsto per la fine della mia vacanza», ironizza Fabio. «Al momento della scossa eravamo per strada», racconta l'agente di commercio di 32 anni, partito per il Giappone il 2 marzo scorso con un gruppo di fotoamatori provenienti da varie regioni d'Italia. «Ho visto le punte degli enormi palazzi che si flettevano fino a toccarsi. Ma nessun giapponese si è fatto prendere dal panico. Per due minuti tutto si è fermato. Poi la gente ha ripreso a camminare, con gli elmetti bianchi in testa. Abbiamo raggiunto a piedi l'albergo al centro di Tokyo percorrendo 12 chilometri».
Ma subito dopo la scossa infinita il primo pensiero è stato quello di avvisare casa. «Siamo riusciti a connetterci ad internet in un negozio. E grazie a Facebook, nel giro di poco tempo, a Miglianico hanno saputo che stavamo bene».
Il venerdì notte passato a dormire nella hall dell'albergo; sabato invece in aeroporto, distesi a terra per cercare di riposare qualche ora. «Ma raggiungere l'aeroporto è stata un'impresa. Non abbiamo avuto alcun aiuto delle istituzioni italiane. Alla fine ci siamo arrangiati spostandoci in metropolitana».
«Cosa ho provato? Una sensazione di impotenza mista al terrore degli istanti in cui la terra tremava», così la definisce Mancinelli. «Sembrava che il mondo stesse finendo, ma nessuno ha tirato fuori un urlo. Il traffico era completamente in tilt, ma nessuno ha azionato un clacson. Sono composti e pronti, i giapponesi.
Nella sfortuna posso ritenermi fortunato. Aspettavo da una vita questa vacanza a Tokyo. Ma oggi non vedevo l'ora di riabbracciare i miei».
«Sono rientrato nel giorno previsto per la fine della mia vacanza», ironizza Fabio. «Al momento della scossa eravamo per strada», racconta l'agente di commercio di 32 anni, partito per il Giappone il 2 marzo scorso con un gruppo di fotoamatori provenienti da varie regioni d'Italia. «Ho visto le punte degli enormi palazzi che si flettevano fino a toccarsi. Ma nessun giapponese si è fatto prendere dal panico. Per due minuti tutto si è fermato. Poi la gente ha ripreso a camminare, con gli elmetti bianchi in testa. Abbiamo raggiunto a piedi l'albergo al centro di Tokyo percorrendo 12 chilometri».
Ma subito dopo la scossa infinita il primo pensiero è stato quello di avvisare casa. «Siamo riusciti a connetterci ad internet in un negozio. E grazie a Facebook, nel giro di poco tempo, a Miglianico hanno saputo che stavamo bene».
Il venerdì notte passato a dormire nella hall dell'albergo; sabato invece in aeroporto, distesi a terra per cercare di riposare qualche ora. «Ma raggiungere l'aeroporto è stata un'impresa. Non abbiamo avuto alcun aiuto delle istituzioni italiane. Alla fine ci siamo arrangiati spostandoci in metropolitana».
«Cosa ho provato? Una sensazione di impotenza mista al terrore degli istanti in cui la terra tremava», così la definisce Mancinelli. «Sembrava che il mondo stesse finendo, ma nessuno ha tirato fuori un urlo. Il traffico era completamente in tilt, ma nessuno ha azionato un clacson. Sono composti e pronti, i giapponesi.
Nella sfortuna posso ritenermi fortunato. Aspettavo da una vita questa vacanza a Tokyo. Ma oggi non vedevo l'ora di riabbracciare i miei».
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