L'unità delitti irrisolti della polizia di Roma indaga sull'omicidio Calvi

29 Agosto 2010

L'indagine relativa all'omicidio di Ofelia Calvi, l'ultimo avvenuto a Chieti e datato 4 gennaio 2006, è stata riaperta nell'ultimo anno dall'Unità dei delitti irrisolti alle dirette dipendenze del capo della polizia Antonio Manganelli

CHIETI. Indagine complessa quella relativa all'omicidio di Ofelia Calvi, l'ultimo avvenuto a Chieti e datato 4 gennaio 2006. Tanto complessa che in un primo momento, nel 2007, un anno dopo la morte della vedova di Aristide D'Antonio, era stata archiviata senza alcun colpevole. E' stata riaperta nell'ultimo anno dall'Unità dei delitti irrisolti alle dirette dipendenze del capo della polizia Antonio Manganelli.

Ha "fruttato" due avvisi di garanzia, ma non (ancora) la soluzione del caso. E' ripartita da Roma, quindi, la caccia all'assassino (o agli assassini) della 83enne proprietaria del negozio di giocattoli in centro. Dalla Capitale sono giunti anche alcuni agenti - Fabio Giobbi e Andrea Grassi, responsabili dell'Udi - che stanno affiancando i colleghi della Questura di Chieti. Un'indagine di laboratorio, ma non solo. Portata avanti sentendo amici e familiari. E sfruttando le moderne tecnologie. Ad esempio, quelle a disposizione dell'Ert (esperti ricerca tracce) della polizia di stato che ha scovato una traccia di sudore sotto le ascelle del giaccone che indossava la donna al momento del delitto. Una traccia di sudore con un profilo del Dna maschile.

Ecco, perché uno degli indagati (il padre) è stato sottoposto alla prova del Dna. Dal risultato dipende la soluzione dell'indagine. Se la comparazione darà esito positivo la posizione dell'indagato (per omicidio preterintenzionale) si aggraverà. In caso contrario l'uomo potrà tirare un sospiro di sollievo. Lui come il figlio, l'altro indagato (per furto aggravato). Così come stanno emergendo i dettagli dell'inchiesta sembra di rivivere uno degli episodi della serie televisiva Csi.

La ricostruzione.
Secondo gli indizi nelle mani della polizia nella tarda mattinata di mercoledì 4 gennaio 2006, verso l'ora di pranzo, due uomini sarebbero entrati nell'abitazione di via De Lollis. Uno avrebbe aggredito la donna e l'altro sarebbe salito nell'abitazione per mettere a segno il furto. Qualcosa non è andato per il verso giusto. La donna, secondo i risultati dell'autopsia, è morta per soffocamento. Probabilmente, per colpa di un uomo che le teneva la bocca tappata con una mano. Un blitz finito male: con la morte di Ofelia Calvi e senza un bottino considerevole. Il trait d'union tra la famiglia e gli indagati, secondo gli investigatori, sarebbe il figlio. Che, in passato, ha lavorato a casa della donna. Era l'accompagnatore della figlia Anna, scomparsa a 51 anni, l'11 giugno 2005. Anna, infatti, aveva problemi fisici ed era bisognosa di un accompagnatore per gli spostamenti. Nel giugno del 2005, proprio durante la veglia funebre, sarebbe scomparso un braccialetto dal portagioie.

La signora Ofelia Calvi sospettava del giovane che ha finito di frequentare l'abitazione proprio in concomitanza della morte di Anna. Un sospetto rilanciato da una badante che, dopo la morte di Ofelia Calvi, ha raccontato questo episodio alla polizia. Che a sua volta ha fatto il giro dei negozi della città per verificare se era stato commercializzato. In un'attività che acquista e vende oro ecco una traccia. Quasi un anno dopo la scomparsa di quel braccialetto, un monile simile è stato venduto a questo negozio dal padre del giovane accompagnatore di Anna. Ecco, quindi, collegati i fili, secondo la polizia. Fili che si sono fatti abbastanza resistenti una volta scoperto che quel 4 gennaio le conversazioni telefoniche tra padre e figlio sono state particolarmente numerose. Da lì la riapertura delle indagini che sono appese ai risultati della prova del Dna. Finora, indizi e congetture. Ma se il profilo dell'indagato non combacerà con quello trovato sul giaccone della Calvi il castello accusatorio sarà destinato a crollare. 

Gli indagati.
Un settimanale del gruppo Mondadori ha fatto riferimento alla loro identità ed è stato querelato. L'avvocato Marco Bevilacqua ha anche presentato una denuncia ai carabinieri per fuga di notizie sulla vicenda. Padre e figlio, pur restando nell'anonimato, hanno voluto gridare la loro innocenza. «Se il genitore avesse avuto qualcosa da temere si sarebbe offerto per fare la prova del Dna?», si chiede il legale teatino. «E poi: come si fa a collegare un supposto furto avvenuto nel giugno del 2005 con la vendita di un braccialetto avvenuto quasi un anno dopo». Non è finita: «Il motivo per cui il mio cliente ha fatto l'esame del Dna l'abbiamo appreso dalla stampa. La polizia ci ha tenuto all'oscuro. Eppure i miei assistiti hanno mostrato un atteggiamento di piena collaborazione».

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