La parabola dell’imprenditore teatino a quindici giorni dal via del processo pescarese su Sanitopoli

La caduta del Grande Accusatore

Due anni fa le confessioni che hanno decapitato la giunta regionale

CHIETI. Al maestro del dribbling, solo un autogol poteva costare caro. Abile a svicolare dagli arresti per due anni, il Grande Accusatore è scivolato sulla mania di accatastare roba di lusso, quelle opere d’arte che una mattina di marzo voleva portare via da depositi e garage.

Mossa falsa e scacco matto: pericolo di inquinamento delle prove e arresto. E così il cerchio giudiziario si è chiuso con l’uomo che l’aveva aperto in modo dirompente, Vincenzo Angelini, l’imprenditore con debole per le firme, quelle sui cognac di pregio, sui vini e gli champagne d’annata, sui vestiti eleganti. Con una passione per i bignè e i calzini nuovi.
E dire che finora aveva tenuto botta sullo scacchiere, forte di quei sette interrogatori fiume davanti ai pm pescaresi di Sanitopoli (Nicola Trifuoggi, Giampiero Di Florio e Giuseppe Bellelli) che avevano decapitato la giunta regionale di centrosinistra e lo avevano blindato da possibili misure cautelari.

Roba di due anni fa, primavera come oggi. Scaglia bombe pesanti, Angelini, che uno dopo l’altro fa cadere i vertici della Regione, a partire dal presidente Oattaviano Del Turco. Dice di avere pagato 15 milioni di euro di tangenti, in cambio di un regime di favori per le sue strutture sanitarie.

A Del Turco, al suo ex braccio destro Lamberto Quarta e all’ex capogruppo del Pd Camillo Cesarone, secondo i pm, Angelini avrebbe consegnato in più tranche 5,5 milioni, a Vito Domenici 500 mila euro passati di mano al casello autostradale di Pratola Peligna, a Giovanni Pace 100 mila euro, all’ex manager della Asl di Chieti Luigi Conga 6 milioni. Un fiume di denaro in cambio di denaro: con una mano dà, con l’altra riceve, dice Angelini, i cui conti vengono setacciati alla ricerca di paradisi fiscali sulle tracce della sponsorizzazione milionaria della Humangest nel Motomondiale.

Confessioni infiorettate da racconti coloriti, come il percorso Chieti-Collelongo bruciato in auto a tempi da record, come le mele in cambio di mazzette ricevute da Del Turco prima di uscire dalla casa marsicana del governatore. O come le parolacce al telefono. Dal vaffa al parlamentare del Pdl Sabatino Aracu che gli avrebbe chiesto un milione allo scurrile «Ve ne dovete andare in cu.. tutti quanti», esclamato all’indirizzo dei politici regionali di centrosinistra.

Non ha detto tutto, Angelini. Evita fino all’ultimo, per esempio, di coinvolgere Conga. Quando la procura lo mette alle strette, chiedendogli lumi sulle uscite mensili da 100 e 200 mila euro dai suoi conti, si raccoglie la testa fra le mani, resta 5 minuti in silenzio e poi libera un «va bene» che fa scivolare Conga nella richiesta di arresto.

Accusa e si autoaccusa, Angelini. E così si salva. La procura di Pescara lo risparmia, limitandosi a sollecitare un obbligo di dimora non accolto. Ma per il gip la collaborazione non è totale. Durante l’incidente probatorio del settembre 2008, quando la difesa di Del Turco gli domanda se anche Aracu abbia preso soldi, Angelini ribadisce di no, come ripetuto più volte ai pm. Ma il nuovo centrodestra al timone della Regione applica rigidamente i nuovi tetti e contesta le fatturazioni di Villa Pini. Il braccio di ferro è innescato da tempo, quando nell’inchiesta entra come un bulldozer il memoriale dell’ex moglie di Aracu, Maria Maurizio: «Angelini riempiva la nostra cassaforte di pacchi di banconote», rivela la donna.

La procura convoca Angelini, che ammette: «Sì, ho pagato 980 mila euro». Ma perché non ce lo ha detto un anno fa?, obiettano i magistrati. «Sono stressato, aiutatemi voi a ricordare», la risposta ai pm. Che ai primi di novembre, contestualmente all’avviso che chiude l’inchiesta sulla sanità, ottengono dal gip il sequestro di Villa Pini, ereditata 30 anni prima dal padre e definita dal legale Sabatino Ciprietti la «Striscia di Gaza della politica abruzzese». A Chieti, nel frattempo è arrivato il nuovo procuratore da Pescara, Pietro Mennini. Parte l’indagine per bancarotta fraudolenta. L’imprenditore, che già da mesi non paga più i dipendenti, finisce sotto inchiesta.

Il 13 febbraio, arriva la dichiarazione di fallimento di Villa Pini, il commissariamento e 20 giorni dopo il sequestro del tesoro. Intanto, la procura di Pescara ha firmato la richiesta di processo per i 34 indagati di Sanitopoli, ai nastri di partenza il 12 maggio. Angelini ci arriverà da imputato, da parte offesa e da arrestato, seppur per altro procedimento, lui che aveva sempre schivato gli arresti finora, da gola profonda, da puntiglioso rivelatore di tangenti seppur a rate, da stratega attento a non tagliarsi tutti i ponti con la politica. Il dribbling con le opere d’arte sotto il braccio gli è stato fatale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA