La cocaina pura del clan foggiano spacciata nel Chietino e a Pescara

La droga così potente da essere definita «tritolo», dosi cedute anche a Villamagna e Francavilla E nell’indagine coinvolti giovanissimi abruzzesi che volevano emulare i criminali delle serie tv
CHIETI. La cocaina del clan foggiano, talmente potente da essere definita «tritolo» dagli indagati, veniva spacciata anche nel Chietino e a Pescara. È quanto emerge dall’ultima inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Bari, sfociata all’alba di ieri nell’arresto di 12 pugliesi (11 in carcere e uno ai domiciliari) accusati, a vario titolo, «di aver promosso, diretto e partecipato a un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti e di aver, di conseguenza, approvvigionato, detenuto e smerciato cocaina sul mercato di Foggia, nella provincia di Barletta-Andria-Trani, nel Basso Molise e in Abruzzo».
Il 38enne foggiano Daniele Delli Carri è finito nei guai per aver coadiuvato i “capi” Giuseppe e Leonardo Bruno, 58 e 36 anni, «nell’acquisto e nel successivo trasporto, a bordo di autovetture funzionali all’organizzazione, di considerevoli quantitativi di sostanze stupefacenti presso il fornitore biscegliese Giacomo Mastrapasqua, adoperandosi anche nella distribuzione della droga a favore degli acquirenti, che procedevano principalmente alle successive cessioni nei Comuni di Foggia, Lucera, Serracapriola, Volturino e Pescara». Le cessioni delle dosi – stando a quanto ricostruito dalla Direzione investigativa antimafia (Dia) di Foggia attraverso sequestri, pedinamenti, intercettazioni ambientali e telefoniche – sono avvenute anche a Villamagna e Francavilla al Mare. Tra i 39 indagati, infatti, figurano pure tre abruzzesi, residenti tra Pescara e Spoltore.
Le indagini hanno consentito di documentare e di raccogliere un solido quadro probatorio a carico dell’associazione che, tra luglio 2020 e novembre 2021, avrebbe distribuito sul mercato illecito oltre 20 chili di cocaina purissima, equivalenti a oltre 83.000 dosi (circa 6,6 milioni di euro).
Nel corso dell’inchiesta sono stati sequestrati agli indagati più di 10 chili di stupefacente, che avrebbero fruttato circa 45.000 dosi caratterizzate da un elevatissimo principio attivo (la cui media, a seguito di analisi di laboratorio, è risultata compresa fra il 42,59% e l’87,04%), e due ordigni artigianali «di micidiale potenziale offensivo».
Nell’ambito di un filone di indagine inserito nello stesso procedimento penale, nel settembre 2022, la Dia ha inoltre sequestrato a uno degli inquisiti anche 100 grammi di hashish e beni immobili e mobili per un valore complessivo di circa 200.000 euro. Il giro d’affari dell’organizzazione si aggirava attorno a 3.500.000 di euro. «Una costola dell’indagine», ha sottolineato il pubblico ministero Ettore Cardinali, «riguarda anche ragazzi abruzzesi. Parliamo di giovanissimi che, pur di emulare le gesta che siamo abituati a vedere nelle serie tv o al cinema, sono disposti a mischiare la propria esistenza con soggetti intranei alla criminalità organizzata, attratti probabilmente dal fatto che parliamo di un reato lucrogenetico».
Una curiosità che è emersa dall’inchiesta, hanno spiegato gli investigatori, «è la capacità dell’organizzazione anche sul piano del customer care: in alcuni casi, dopo aver rifornito di stupefacente la rete di acquirenti abituali, cioè coloro che avrebbero poi smerciato la droga sulle piazze di spaccio di competenza, questi venivano scortati addirittura fino al casello dell’autostrada per bonificare il trasporto. C’era persino la possibilità di sostituire lo stupefacente che non era gradito all’acquirente perché troppo amaro o troppo acido: come se si trattava di una sorta di commercio online, avveniva il cambio della partita di droga».
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