La lezione di Antonio Russo, il cronista anti-eroe che rischiava la pelle

L’inviato di guerra abruzzese che restava attaccato alle storie, fu il primo a capire che l’età dei conflitti “convenzionali” era finita
Quest’anno è passato un quarto di secolo esatto dalla sua morte. Leggete questa sintesi, una delle più asciutte e potenti, e capirete chi era Antonio Russo, e perché è importante ricordarlo oggi: «Antonio aveva scelto. In Cecenia, come in Kossovo, o come in Algeria. Aveva scelto il punto di vista delle vittime».
Aprendo questo giornale, oggi troverete queste folgoranti parole dedicate ad Antonio dal suo unico direttore, Massimo Bordin. Erano contenute in un primo ricordo, scritto ad un anno dalla scomparsa del più celebre invitato di guerra abruzzese, la bandiera del giornalismo radicale nel mondo. È un ricordo breve, ma – come spesso capita – folgorante nella sintesi di un personaggio unico: anti-eroe, burbero e dolcissimo, eremitico e cosmopolita. Scampato alla morte in Kossovo perché non si tirava mai indietro. Non eroe – spiegava il direttore di Radioradicale – ma anti-eroe. Non neutrale, perché la neutralità nel racconto dell’orrore non può esistere. Poi Bordin tornò a ragionare con un ricordo più lungo (pubblicheremo anche quello, sabato, in uno speciale, insieme agli articoli di tanti amici ed estimatori, da Marco Pannella a Giuliano Amato, da Barbara Spinelli a Furio Colombo, ad Adriano Sofri).
E noi tutti – la sua famiglia, i suoi colleghi, la fondazione che porta il suo nome, i giornalisti della nostra redazione – celebreremo Antonio Russo, sempre sabato pomeriggio a Francavilla, come ogni anno. Lo onoreremo con il premio che porta il suo nome, e che festeggia, in ogni edizione, un diverso inviato di guerra per ogni categoria, trasmettendo il testimone di un impegno professionale e civile attraverso i decenni e le generazioni. Approfitteremo di questa occasione solenne, per ricordare, nei prossimi giorni, un abruzzese che era diventato un modello anomalo, allora del tutto originale di scrivere e di raccontare: inviato nelle province degli imperi, inviato nelle terre dimenticate, osservatore di segnali premonitori che annunciavano il tempo delle guerre feroci che stiamo vivendo. Dobbiamo dire grazie alla madre di Antonio (finché è stata viva), ai suoi cugini, Michele e Luisa, alla sua testata, Radioradicale, per aver tenuto viva la fiamma di questa memoria incandescente.
Questo giornale ha adottato Antonio Russo come un modello, che ricordiamo ai ragazzi ogni volta che entriamo in una scuola: la sua tecnica di racconto era modernissima e a tratti picaresca, il suo punto di vista autonomo e potente. Così come la sua lingua provocatoria e spiazzante, ad esempio, in uno dei suoi brani più celebri: quello in cui diceva di essere un «cattivo giornalista». Cattivo perché al contrario degli inviati che piangono, scrivono e se ne vanno, chiudendo le emozioni nella valigia per dimenticarle, lui restava attaccato alle storie e alle vite che raccontava, fu moderno anche nel capire perché si sparava sui bambini, e a spiegare perché questo cambiava la natura del suo lavoro: «Ho molti ricordi nel mio cuore», disse nell’ultima conferenza della sua vita, «ricordi di bambini scioccati dalla vista dei massacri. Bambini che rimarranno scioccati per il resto della loro vita. È molto importante poter fornire documenti e fatti, per costringere la comunità internazionale a lavorare, tutti insieme, per fermare la guerra». E qui, per tornare a Bordin, di cosa si parla? Della Cecenia del Duemila, o di Gaza oggi? Dell’Ucraina o del Libano?
Sabato in edicola troverete lo speciale di quattro pagine di cui ho parlato, e domenica un altro speciale in cui si impasteranno le testimonianze e le riflessioni dei cronisti di oggi (che ascolteremo durante la premiazione) e le corrispondenze da antologia della sua breve stagione. Antonio è sempre presente in tutte le feste de il Centro non solo perché è un simbolo, ma perché, per tutti i motivi che abbiamo ricordato, il suo insegnamento è ancora attualissimo: fu il primo a capire l’importanza delle guerre di Putin. Fu tra i primi a capire che l’età delle guerre “convenzionali” era finita. Fu il primo a capire che i civili diventavano il bersaglio principale e non – come si diceva allora – le vittime collaterali. Adesso Marco Pannella e Massimo Bordin ci hanno lasciato. Anche Furio Colombo non c’è più. Se seguirete insieme a noi questo percorso di memoria, dunque, faremo un bel regalo: non solo ad Antonio, ovviamente. Ma a noi stessi, che proviamo a guardare il mondo di oggi con il suo sguardo antiretorico.