Palmoli

L’avvocato della famiglia nel bosco: «Tenuto nel cassetto il documento che li “scagiona” sulla scuola»

23 Novembre 2025

L'intervista a Giovanni Angelucci, il legale che sta seguendo la vicenda. E una rivelazione: “Il ministro Salvini mi ha telefonato”

PALMOLI. La parabola della famiglia del bosco diventa un affare di Stato. Dalle aule del tribunale per i minorenni dell’Aquila la vicenda è rimbalzata direttamente sui tavoli del governo, trasformando un caso di cronaca locale in un dossier di rilievo nazionale. A certificare il passaggio di livello è stato anche un colloquio telefonico tra il vicepremier Matteo Salvini e il legale della coppia, l’avvocato Giovanni Angelucci. Non si è trattato di un contatto informale, ma di un’iniziativa politica precisa. Il leader della Lega ha cercato l’avvocato – che, tra l’altro, è consigliere comunale del Carroccio a Francavilla al Mare – per acquisire elementi di prima mano e per comunicare l’interessamento diretto dell’esecutivo, coinvolgendo nella questione anche il ministro della Giustizia, Carlo Nordio.

Mentre a Vasto Catherine Birmingham vive i primi giorni di convivenza vigilata con i tre figli nella struttura protetta e Nathan Trevallion resta a presidiare la casa vuota, la difesa incassa una sponda istituzionale che potrebbe pesare sugli sviluppi futuri. Ma la partita vera, in attesa del ricorso alla Corte d’appello che va presentato entro fine mese, si gioca sui documenti. E proprio nelle ultime ore è emerso un elemento che la difesa considera dirimente: un atto ufficiale della scuola che smentirebbe una delle contestazioni cardine del tribunale, quella sulla mancata istruzione, e che secondo il legale sarebbe stato ignorato o non trasmesso ai giudici prima della sentenza.

Avvocato, partiamo dal livello politico. Come è avvenuto il contatto con il vicepresidente del Consiglio?

«È stato il ministro Salvini a cercarmi, ci siamo sentiti al telefono. È stato molto chiaro e diretto. Ha voluto esprimere la piena vicinanza sua, della presidenza del Consiglio e del governo alla famiglia. Mi ha detto di essere a disposizione per qualsiasi necessità».

Si è trattato solo di una manifestazione di solidarietà o c’è un passo concreto?

«C’è un passo concreto. Salvini mi ha confermato di aver ritenuto doveroso interessare della questione il ministro della Giustizia, Nordio. Mi è stato chiesto di fornire una serie di documenti e di considerazioni sulla vicenda, cosa che provvederò a fare immediatamente. L’obiettivo è permettere loro di valutare il caso avendo a disposizione un quadro completo della situazione».

Che cosa ne pensa di questo interessamento?

«Il sostegno della gente e della politica è sicuramente uno sprono importante per noi, ci dà la forza di combattere questa battaglia giudiziaria fino alla fine. Tuttavia, bisogna essere chiari: i processi si fanno nelle aule di tribunale, non sui giornali o nei palazzi della politica. Io sono convinto che i giudici decideranno in base agli atti e non si faranno condizionare dal clamore mediatico, né in positivo né in negativo. Il decreto di allontanamento contiene passaggi che ritengo giuridicamente attaccabili e fattualmente errati, ed è su questo che baseremo il nostro ricorso. Sono ottimista perché credo che, analizzando le carte con serenità, emergerà l’abnormità della misura adottata rispetto alla realtà di questa famiglia».

Lei ha fatto riferimento a un documento “dimenticato” che riguarda la scuola. Ci spiega di cosa si tratta?

«È un punto fondamentale, un vero e proprio cortocircuito istituzionale. Nel decreto del 13 novembre, i giudici scrivono che i bambini non frequentano la scuola e che l’istruzione parentale non è stata autorizzata. Sostengono inoltre che l’attestato di idoneità della figlia maggiore, rilasciato da una scuola paritaria di Brescia, non è valido perché non ratificato dall’Istituto comprensivo locale. Ebbene, questo non corrisponde al vero. Esiste un documento ufficiale dell’Istituto comprensivo competente per Palmoli, datato 12 ottobre e protocollato dal Comune il 3 novembre 2025. In questo atto, la scuola autorizza formalmente i genitori ad avvalersi dell’istruzione parentale per l’anno scolastico in corso e ratifica l’idoneità della bambina».

Se questo documento esisteva dal 3 novembre, perché il tribunale non ne ha tenuto conto?

«Perché non lo aveva. E non lo aveva perché, a quanto ci risulta, l’assistente sociale lo ha tenuto nel cassetto invece di trasmetterlo tempestivamente al giudice. Io ne sono venuto in possesso solo giovedì scorso, il giorno dell’esecuzione del decreto, me lo ha consegnato il sindaco. Se quel documento fosse arrivato sul tavolo dei giudici, forse la decisione sarebbe stata diversa. Ma nelle motivazioni di sicuro ci sarebbe stata una pagina in meno».

Sull’altro grande tema, quello delle condizioni abitative e igieniche, c'è margine di trattativa? La famiglia è disposta a modificare qualcosa?

«La famiglia non è mai stata chiusa al dialogo o alle migliorie, purché rispettino i loro principi. Sulla questione del bagno, che è stata molto enfatizzata, c’era già un progetto in corso. Un tecnico incaricato stava predisponendo la costruzione di un bagno esterno ma adiacente all’abitazione, collegato con una veranda. Non un bagno chimico, ma un sistema di fitodepurazione, una soluzione ecologica prevista dalla legge e finanziata anche dall’Europa per le zone non servite da fognatura. Quindi la volontà di adeguarsi c’era».

È vero che hanno rifiutato i soldi del Comune per questi lavori?

«Sì, ed è una scelta che va rispettata. Il sindaco si era offerto di contribuire con fondi pubblici, ma loro hanno detto no. Non vogliono assistenzialismo, non vogliono accedere a benefici che ritengono di non dover sottrarre alla comunità. Hanno una loro autonomia economica e hanno chiarito che, se ci sono lavori da fare, li pagheranno di tasca loro. È una questione di dignità e coerenza».

Il decreto cita un rifiuto categorico delle cure mediche e una richiesta provocatoria di 50.000 euro per ogni figlio. Come giustifica questa posizione?

«Va contestualizzata. Quella dei 50.000 euro è stata una boutade, una provocazione intellettuale lanciata in un momento di esasperazione. I genitori si sentivano trattati come se i loro figli fossero oggetti da esaminare senza motivo, e hanno risposto con un paradosso: “Se ci trattate come merce, allora vi chiediamo una cauzione”. Ma non c’era alcuna volontà reale di lucrare. Per quanto riguarda le cure, non c’è un rifiuto ideologico assoluto. Se fosse strettamente necessario per la salute dei bambini o per sbloccare la situazione, accetterebbero le visite. Ma devono essere esami non invasivi. Niente elettrodi in testa, niente ospedalizzazioni traumatiche per bambini che stanno bene e non hanno subito alcun abuso».

Qual è la situazione attuale dei bambini? Come stanno vivendo questi primi giorni in struttura?

«È una situazione difficile. La struttura di Vasto ospita minori e madri con minori, quindi il padre, Nathan, non può entrare. Il regolamento è rigido, a tutela della privacy delle altre ospiti. Nathan riesce a vedere i figli solo per pochi minuti al giorno. Per lui è doloroso, ma dobbiamo guardare anche l’aspetto positivo: il tribunale avrebbe potuto disporre l’allontanamento totale da entrambi i genitori. Invece la madre, Catherine, è lì con loro».

Però anche per la madre ci sono delle limitazioni, giusto?

«Sì, non vivono come a casa. Dormono in stanze separate. Non c’è quella quotidianità simbiotica a cui erano abituati. Catherine sta facendo del suo meglio per rassicurarli, ma è evidente che, per dei bambini abituati alla libertà del bosco e alla presenza costante di entrambi i genitori, questo è un trauma. Il nostro obiettivo è riunire la famiglia il prima possibile».

Perché, secondo lei, questa storia ha colpito così tanto l’opinione pubblica, arrivando a mobilitare il governo?

«Me lo sono chiesto spesso in queste ore. Credo che sia perché è una storia diversa dalle solite cronache giudiziarie. Qui non c’è violenza, non c’è sangue, non ci sono “mostri”. C'è una famiglia che ha fatto una scelta di libertà radicale. E la gente, vedendo quello che è successo, ha paura. Pensa: “Potrebbe capitare a me”. Oggi contestano il bagno a secco, domani potrebbero entrare in casa mia perché i miei figli guardano troppa tv o perché non condividono il mio metodo educativo. E poi c’è la famiglia stessa: Nathan e Catherine sono persone sincere, senza maschere, e questo messaggio di autenticità è arrivato dritto al cuore delle persone».

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