Borrello

Maxi inchiesta sulle false cittadinanza, il funzionario indagato all’imprenditrice: «Io al tuo servizio, sei tu la capo ufficio»

13 Ottobre 2025

Messaggi e intercettazioni telefoniche inguaiano Giampaolo, l’addetto all’anagrafe dei municipi di Borrello e Montebello. E spuntano le chat in cui chiedeva prestazioni sessuali alla donna che gestiva l’arrivo illegale degli argentini in paese

BORRELLO. «Va bene Ciccia, io sono al tuo servizio, basta che ogni tanto... me la dai!!». Non è il frammento di una conversazione rubata a una coppia qualunque, ma un messaggio WhatsApp che, per la procura della Repubblica di Lanciano, sigilla un patto illecito all’ombra di un municipio. A scriverlo, il 18 gennaio 2024, è Luciano Nicola Giampaolo, 70 anni, all’epoca dei fatti addetto all’anagrafe dei Comuni di Borrello e Montebello sul Sangro. La destinataria è Marcela Elena Clavaschino, un’imprenditrice di 59 anni. Una frase che, secondo le carte dell’inchiesta condotta dai carabinieri della compagnia di Atessa, non è solo la traccia di una relazione intima, ma la quietanza di un accordo corruttivo basato sullo scambio tra favori e sesso.

L’indagine, ora chiusa, ha svelato quello che l’accusa ritiene un rodato sistema criminale, iscrivendo nel registro degli indagati otto persone, inclusi i sindaci dei due piccoli centri dell’area del Sangro, Armando Di Luca e Nicola Di Fabrizio. L’ipotesi è quella di un’associazione per delinquere che avrebbe trasformato gli uffici anagrafe in una sorta di fabbrica di cittadinanze, alterando le procedure per il riconoscimento dello iure sanguinis a centinaia di cittadini sudamericani. Un servizio rapido, con tariffe che oscillavano tra i 2.500 e i 5.000 euro a pratica, per ottenere una residenza, spesso fittizia, e di conseguenza il passaporto italiano in tempi record.

Al centro di questa rete, secondo gli inquirenti, si muoveva la coppia Giampaolo-Clavaschino. Lui, il funzionario pubblico; lei, l0imprenditrice, descritta come la vera promotrice dell’organizzazione. Pur non avendo alcun ruolo nell’amministrazione, la sua presenza negli uffici comunali di Borrello era una costante. Impiegati comunali, sentiti a verbale, l’hanno descritta come una figura che lavorava per ore a fianco di Giampaolo, decidendo con lui le sorti delle pratiche. Un’autorità di fatto che lo stesso funzionario le riconosceva per iscritto, il 17 ottobre 2024, incoronandola con un messaggio: «Puoi fare quello che vuoi, ormai sei tu la capo ufficio».

Il materiale sequestrato nel bed&breakfast gestito dalla donna a Borrello restituisce l’immagine di una sorta di anagrafe parallela. I carabinieri hanno trovato centinaia di fotocopie di documenti, certificati di residenza in originale e in copia, fogli con l’intestazione a colori dei due Comuni, buste contenenti carte d’identità elettroniche pronte per la consegna e persino un foglietto con il timbro «Il sindaco – Avv. Armando Di Luca».

Le indagini dei carabinieri descrivono un legame cementato da un’intimità che, per la procura, era il lubrificante del meccanismo corruttivo. Nelle carte si legge di videochiamate caratterizzate da «sesso virtuale». Gli inquirenti annotano come, immediatamente dopo aver finito questi rapporti, iniziavano subito a parlare nuovamente dei cittadini argentini. Per l’accusa, queste prestazioni sono da considerarsi come «altra utilità» che il pubblico ufficiale riceveva indebitamente, un elemento che, insieme a denaro e omaggi, cementava il patto. La richiesta esplicita di Giampaolo, inviata in risposta a un vocale in cui la Clavaschino gli impartiva direttive, diventa così la sintesi cruda di un sistema dove l’atto amministrativo si sarebbe scambiato con il sesso.

Il ruolo della donna, secondo l’accusa, non era quello di una semplice intermediaria. Era lei a contattare i clienti in Sud America, a concordare i prezzi e a gestire la logistica. Ma, soprattutto, era lei a formare e sottoscrivere decine di comunicazioni di ospitalità e dichiarazioni sostitutive, atti amministrativi essenziali per avviare l’iter. Un’operatività che, per la procura, la colloca al vertice di un sistema che avrebbe piegato la funzione pubblica a un interesse privato. Un sistema dove il confine tra pubblico e privato, tra lecito e illecito, si era dissolto in una telefonata, in un messaggio, in un vezzeggiativo: “Ciccia”.

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